1,6 milioni di dimissioni nei primi 9 mesi del 2022

Come riportato dagli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie delMinistero del Lavoro,nei primi 9 mesi del 2022 si è verificata un’ondata di dimissioni.I numeri sono notevoli, 1,6 milioni: unaumento del 22% rispetto ai primi 9 mesi del 2021, quando ne erano state registrate circa 1,3 milioni. In – continua – crescita anche il numero deilicenziamenti. Sempre nello stesso periodo, i rapporti lavorativi interrotti per licenziamento sono stati557.000. Nei primi 9 mesi del 2021, invece, ne sono stati registrati 379.000. Maquali sono i motivi che spingono i lavoratori e le lavoratrici a lasciare il loro posto di lavoro?A tal proposito si è espressa laCgil(Confederazione Generale Italiana del Lavoro), secondo la quale 2 potrebbero essere i motivi principali: da un lato, laricerca di un lavoro più agile e flessibile, complice soprattutto lapandemia; dall’altro, un aumento generale del malessere legato a unoscarso coinvolgimentoo allamancanza di valorizzazionedella propria professionalità. Da non sottovalutare anche l’aspetto economico: dopo la pandemia le priorità lavorative sono cambiate. Si è alla ricerca di lavori più flessibili, ma soprattutto ben retribuiti. Per avere maggiori risposte, è fondamentale l’indagine condotta dall’Inapp(Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) sulla qualità del lavoro. Circail 24% dei dipendenti si sente a rischio sul posto di lavoroe la situazione diventa più critica nel Mezzogiorno, dove la percentuale sale al 28%. Un altro aspetto che contribuisce a una bassa qualità del lavoro è lamancanza di flessibilità di orario(circa il 37%). E le donne sono quelle più colpite, per le quali la percentuale sale al 42%. Infine, anche l’attività ripetitiva è un fattore da non sottovalutare. Secondo l’indagine, i più colpiti sono i giovani tra i 18 e i 34 anni, soprattutto nel Mezzogiorno, anche perchénon riescono a intravedere prospettive dicrescitaprofessionale. Dunque, le imprese che pongono il focus sul benessere lavorativo e un’elevata qualità del lavoro sono, in Italia, una minoranza. E proprio su questo punto è intervenuta laCisl(Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori): «il fenomeno delledimissioni volontarie[…] ci interroga profondamente sul cambiamento del mercato del lavoro indotto anche dal “periodo di riflessione” consentito dal lockdown durante la pandemia. La recente indagineInappsulla qualità del lavoro ci offre però una chiave di lettura del fenomeno assolutamente coerente con la situazione italiana», spiega Giulio Romani, segretario confederale. Importante, in questo senso, è anche laricercadell’OsservatorioHR Innovation PracticedelPolitecnico di Milano, che ha dimostrato che il46% cambia lavoro per cercare benefici economici, il 35% per migliorare le opportunità di carriera,il 24% per una maggiore salute mentale e fisica, il 18% per inseguire le proprie passioni, e il 18% per una maggiore flessibilità oraria. Per migliorare la qualità del lavoro, e quindi anche il benessere del lavoratore, è fondamentalepuntare sull’innovazione e sul miglioramento della gestione delle risorse umane:attualmente solo l’8% delle imprese italiane lo ha fatto. La strada è ancora lunga.