Caro carburanti: cosa prevede il decreto trasparenza?

Caro carburanti: cosa prevede il decreto trasparenza?

 

Con l’arrivo del2023 i prezzi di diesel e benzina sono tornati alle stelle, con la benzina che ha superato i 2 euro al litro e il diesel che ha quasi raggiunto i 2,50 euro al litro. E si è tornato a parlare del caro carburanti, e lo si fa all’indomani del Consiglio dei Ministri che ha approvato un decreto-legge contro il caro benzina, senza taglio delle accise. Intanto, le associazioni dei gestori deibenzinaihanno proclamato uno sciopero: “Per porre fine a questa ondata di fango contro una categoria di onesti lavoratori e cercare di ristabilire la verità, le associazioni dei gestori, unitariamente, hanno assunto la decisione di proclamare lo stato di agitazione della Categoria, su tutta la rete; di avviare una campagna di controinformazione sugli impianti eproclamare, per le giornate del 25 e 26 gennaio 2023, una prima azione di sciopero,con presidio sotto Montecitorio”,si legge in una notaFaib-Confesercenti, Fegica, Figisc-Confcommercio. Decreto trasparenza: che cosa prevede? Che cosa prevede il decreto trasparenza approvato il 10 gennaio dal Consiglio dei Ministri?Tra le novità introdotte dal dl c’è l’introduzione dell’obbligo di esporre il prezzo alla pompa, con sanzione che potrebbero essere somministrate dalla Prefettura. Questo vuol dire che i gestori dovranno esporre dei cartelli che indicano il prezzo medio nazionale stabilito dal Ministero dell’Ambiente. Ilmonitoraggio dei prezzi,inoltre, non sarà più settimanale magiornaliero. L’obiettivo è evitare le speculazioni che sembrano caratterizzare il settore. Un’altra norma, invece, provvederà a fissare untetto massimoentro cui dovranno regolarsi i fornitori in autostrada. Sempre rimanendo in tema autostrade, c’è sul tavolo anche l’ipotesi di riconoscere una percentuale in più ai distributori, che però dovrà essere fissa. Il decreto prevede anche un’implementazione del sistema di controlli e sanzioni.In caso di violazioni sono previste ammende che in caso di recidiva si possono trasformare in sospensione dell’attività per un periodo da un minimo di 7 giorni a un massimo di 90. Per riuscire nell’intento, sarà irrobustita la collaborazione con la Guardia di Finanza e verrà istituita una Commissione di allerta sui prezzi all’interno dell’Antitrust. Tra le altre misure previste e varate dal Cdm, ilrinnovo per il primo trimestre del 2023 di buonibenzina,dal valore massimo di 200 euro per lavoratore, destinati all’acquisto di carburanti ceduti a titolo gratuito dai datori di lavoro privati ai lavoratori dipendenti. Accise: che cosa sono e perché allo Stato costa eliminarle Si tratta diimposte che da decenni vengono applicate ai prezzi di fabbricazione e vendita di prodotti di consumo– carburante incluso – e rappresentano un gettito fondamentale per le casse dello Stato. Introdotte in Italia negli anni Trenta del Novecento per fronteggiare le massicce spese che il Paese si trovava ad affrontare nel periodo, leaccise sulla benzinasono leimposte che più gravano sul pezzo dei carburantiper tutti i Paesi, specie per i non produttori. Secondo le ultime rilevazioni effettuate dal Mise – Ministero dello Sviluppo Economico – le accisehanno un peso del circa 40% sul prezzo finale di benzina ediesel,a cui va aggiunto il valore del 22% dell’Iva. Oggi le accise applicate al prezzo di produzione dei carburanti sono 19, che nel 1955 sono state inglobate in un’unica imposta che finanzia il bilancio statale nel suo complesso). Tra queste 19, 6 risalgono a prima degli anni Ottanta. In particolare, al 1935-1936 risalgono le accise subentrate per i costi della guerra in Etiopia, al 1956 quelle per la Crisi di Suez e al 1963 quelle per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont. Ancora, al 1966 risalgono le imposte introdotte per la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze; al 1968 quelle subentrate per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice e, infine, al 1976 quelle per finanziare la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli. Rinunciare alle accise, dunque, vorrebbe dire per lo Stato rinunciare a una fonte di guadagno che permette di investire in altri settori e, in questo specifico momento storico, probabilmente a non poter varare misure a sostegno di chi sta maggiormente soffrendo la crisi in atto.