Gender pay gap: nuovo anno, stessa (vecchia) storia
Cambia l’anno, ma non le priorità. E allora torniamo a parlare diparità di genere. E facciamolo in unaprospettiva di medio-lungo periodo. IlWealth Equity Index- sviluppato da Wtw in collaborazione con ilWorld Economic Forum -offre una panoramica mondiale sullediscriminazioni di genereche le donne sperimentano nel corso delle loro vite. In particolare,quantifica il gap di ricchezza rispetto agli uominial momento del pensionamento. L’edizione del 2022 conferma un dato tristemente noto:le donne sono in svantaggio nell’accumulazione di ricchezzadurante tutto il periodo della loro vita lavorativa e questo si traduce in unlivello pensionistico molto più modestorispetto a quello degli uomini. Il divario economico di genere è stato rilevato in tutti i 39 Paesi analizzati nello studio, senza alcuna eccezione. Quantifichiamolo: in media,le donne arrivano alla pensione con appena il 74% della ricchezza accumulata dagli uomini(ne abbiamo anche scritto recentemente). Non accumuliamo ricchezza: accumuliamo svantaggi Sappiamo bene come si creino e si rinforzino glisvantaggi che le donne accumulanonel corso delle loro vite ed hanno a che fare con glistereotipie con leaspettative socialiche si riverberano sulla loro presenza all’interno del mercato del lavoro. Il lavoro di cura non retribuito(che ricade sproporzionatamente sulle spalle delle donne) e il giudizio sociale, a volte spietato, circa l’adeguatezza delle madri che lavorano,sono solo alcuni dei fattori che impattano sulla possibilità delle donne di creare reddito attraverso il proprio lavoro. Senza contare che, anche quando riescono a rimanere nel mercato del lavoro,le donne vengono discriminate anche in termini retributivi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Jobpricing,nel 2021 in Italia la disparitàsalarialetra uomini e donne è all’11,2% nel settore privatoconsiderando la retribuzione annua lorda (ma se si include anche la componente variabile sale ulteriormente, arrivando all’12,2%). Detto in altri termini, ècome se le lavoratrici italiane lavorassero gratis fino all’11 febbraio. E questi dati sulgender pay gaprischiano di essere sottodimensionati. Perché fino all’approvazione della Legge Gribaudo, le aziende private con meno di 100 dipendenti non avevano alcun obbligo di raccolta sui dati relativamente alla disparità salariale. Peccato che, in Italia, le imprese di grandi dimensioni siano pochissime: secondo Istat, nel 2020 le microimprese rappresentavano infatti il 95,2% del tessuto produttivo nazionale. Quindi, l’obbligo di raccolta dei dati era applicabile a pochissime imprese. Con laLegge Gribaudo,invece, l’obbligo di redigere un rapporto biennale sulla composizione della forza lavoro(ma anche sui processi di selezione, le policy, gli avanzamenti di carriera e, ovviamente, le retribuzioni) è stato estesoalle aziende con 50 dipendenti. I primi Rapporti sono stati già consegnati e i dati sono attualmente in fase di analisi. Le buone notizie Mainiziamo il nuovo anno con qualche buona notizia, perchéla parità di genere conviene.Alle donne, al Paese, ma anche alle aziende che possono dimostrare di averla presa sul serio. In questa direzione vanno anche ildecreto del Ministero del Lavoro e le istruzioni dell’Inpschepremiano le imprese che hanno ottenuto lacertificazione per la parità di genereentro la fine del 2022.Parliamo di un esonero contributivo dell’1% nel limite di 50.000 euro e anche di un criterio preferenziale nei bandi di gara della Pubblica Amministrazione. Così come occorre stanziare ancorapiù fondia favore dell’imprenditoria femminile: stando ai dati pubblicati daInfoCamereper l’Osservatorio sull’imprenditorialità femminile di Unioncamere,crescono infatti lestart-upinnovative femminili,che sono arrivate a rappresentare il 13,6% del totale delle start-up. Le potenzialità sono moltissime, i risultati ancora da migliorare, ma finalmente la strada intrapresa è quella giusta.