Qatar: le famiglie delle vittime chiedono giustizia

Il presidente della FifaGianni Infantinol’ha definita «la migliore Coppa del Mondo di sempre». Eppure, quella che si è conclusa il 18 dicembre 2022 in Qatar incoronando l’Argentina come la più forte tra le 32 nazionali partecipanti, è stata per molti versi l’edizione più controversa. Il primo campionato mondiale che si è tenuto in Medio Oriente e nel mondo arabo ha lasciato dietro di sé numerose polemiche: dalla discriminazione nei confronti delle persone omosessuali alQatargate, dalle polemiche sulla questione climatica a quelle sulBisht, il mantello tradizionale del golfo Persico appoggiato sulle spalle del capitano argentino Lionel Messi dall’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani al momento della premiazione. Per non parlaredellosfruttamento e della morte dei lavoratori migrantiingaggiati per costruire le strutture ad hoc per ospitare partite, pubblico e giornalisti. Mentre gli organizzatori del torneo hanno fissato il conteggio ufficiale a 40, le stime delGuardianrelative a un’indagine realizzata a febbraio 2021 parlano di circa6.500 vittime. La forza lavoro migrante nel Paese è stimata in 2 milioni, pari a circa il95%dei lavoratori totali: si tratta per lo più diuomini, provenienti dalle Filippine e dai paesi dell’Asia meridionaletra cui Pakistan, Nepal, Bangladesh eIndia. È da qui che proviene la storia raccontata dall’emittente tedescaDeutsche Welledi Mammai Bhoo Laxmi, una residente nel villaggio di Humnapur, nello stato indiano del Telangana, che 8 anni fa ha sentito per l’ultima volta suo marito Mammai Laxman. Stava andando in Qatar per lavorare come muratore per un progetto legato alla Coppa del Mondo. Solo un mese dopo la sua partenza, la donna ha ricevuto la notizia della sua morte, con una causa di decesso che non l’ha mai convinta: il certificato ufficiale dice”attacco di cuore”. Laxmi non sa a chi rivolgersi per ottenere un risarcimento. Secondo la OngHuman Rights Watch, in base alle leggi sul lavoro del Qatar, le famiglie di chi muore nel Paese a causa dell’occupazione hannodiritto a ricevere un risarcimentoentro 15 giorni dal giorno del decesso. Il problema è dimostrare che si tratta di un decesso legato al lavoro. L’organizzazioneEmigrants Welfare Forumchiede un risarcimento per le famiglie come quella di Laxmi, e di classificare la morte di ogni lavoratore migrante avvenuta dal 2010 comeun decesso legato alla Fifa e al lavoro. Il Comitato supremo del Qatar per la consegna e l’eredità ha dichiarato che si sono verificati 3 decessi legati al lavoro e 37 decessi non legati al lavoro. Secondo quanto riferito dalWashington Post, il ministero degli Esteri indiano ha detto checirca 2.400 cittadini indiani sono morti in Qatar tra il 2014 e il 2021, ma non ha specificato le cause dei decessi. L’India, però,non è tra i firmataridellaConvenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro familiari: secondoBheem Reddy Mandha, presidente diEmigrants Welfare Forum, «il motivo per cui l’India tace sulle questioni riguardanti le violazioni dei diritti umani dei suoi lavoratori migranti è che se interpella altri governi, sarà messa in discussione anche lei». Le polemiche e le inchieste sul Qatar, però,non hanno allontanato i tifosi dallo schermo. In un tentativo ben riuscito di”sportswashing”,ovvero l’utilizzo dello sport come strumento disoft power, di distrazione, il Qatar ha attirato miliardi di tifosi da tutto il mondo. La finale Argentina-Francia ha registrato, solo negli Stati Uniti, una media di quasi26 milioni di spettatori televisivi. L’uso dello sport come strumento per migliorare la percezione di un marchio o di un’azienda non è una novità: la ragione è che si tratta di un argomento in grado disuscitare emozioni nei tifosi, costruire legami emotivi con le squadre e gli atleti. Una recentericercacondotta dalle due studioseArgyro Elisavet ManolieSungkyung Kimha analizzato gli appassionati disporte il loro rapporto con una squadra: i comportamenti discutibili delle squadre e dei club e le critiche nei loro confronti non hanno molta importanza. La professoressa Manoli ha spiegato sul sito d’informazioneThe Conversationche evitare di discutere di controversie sulla loro squadra del cuore èun modo per proteggere il forte senso di identificazioneche deriva dall’essere un fedele membro di unafanbase. Per questo, probabilmente, le società sportive non si sentono particolarmente motivate ad agire in modo responsabile dal punto di vista sociale o ambientale. Un altrostudionon ha mostrato alcun collegamento diretto tra responsabilità sociale d’impresa ebrand equitydal punto di vista dei tifosi. I risultati suggeriscono che anche se i tentativi di ripulire l’immagine di una nazione o di un’organizzazione attraverso lo sport fossero in aumento, questo non cambierebbe le cose per molti tifosi,disposti a chiudere un occhio sul comportamento del proprio clubper via della lealtà verso la squadra.