Parolacce, linguaggio universale

Parolacce, linguaggio universale

 

Leparolacceci affascinano da sempre. Come sono nate? Meglio evitarle o fanno parte di diritto del folklore linguistico? Perché, secondo quanto dimostrato da varie ricerche scientifiche, urlarle a squarciagola consentirebbe di tollerare più facilmente stimoli fisici dolorosi? Una cosa è certa: «Le parolacce non nascono parolacce, sono solo parole». A dirlo èNicolas Cagenella docuserieHistory of Swear Wordstargata Netflix, che nel corso di 6 episodi indaga lo sviluppo e l’evoluzione del turpiloquio. Uno studio pubblicato sullarivista Psychonomic Bulletin & Reviewe riportato dalNew York Times, ha rilevato che le parolacce in diverse lingue non correlate fra loro suonano allo stesso modo. Il team, guidato daShiri Lev-Ari e Ryan McKay, ha coinvolto100 persone che parlavano 5 lingue appartenenti a ceppi differenti, a cui è stato chiesto di elencare le parole più offensive del proprio idioma, escludendo gli insultirazzisti. Dopo che i partecipanti, di madrelingua ebraica, hindi, ungherese, coreana e russa hanno compilato un elenco di epiteti volgari usati più di frequente, gli studiosi li hanno confrontati con parole neutre della stessalingua, scoprendo cheil turpiloquio tende a non utilizzare le lettere l, r, w e y. Secondo gli esperti, questi fonemi potrebbero essere meno adatti alla comunicazione di un messaggio volgare. In una fase successiva della ricerca, il team di ricercatori ha domandato a215 soggetti che parlavano 6 lingue diverse di valutare coppie di locuzioni inventate, alcune delle quali includevano una o più di queste lettere. Durante l’esperimento le persone coinvolte sono risultate significativamente meno propense a considerare le parole con le approssimanti (cioè le consonanti l, r, w e y) come insulti o volgarità. Per esempio il vocabolo albanesezog, uccello, è servito per creare la coppia di parole falseyogetsoge i partecipanti hanno più spesso indicatotsogcome termine offensivo. Nel 63% dei casi le espressioni prive di questi suoni erano invece associate a una imprecazione. Questo suggerirebbe che potrebbero esistere tratti comuni nel modo in cui leparolaccesi sono evolute nelle diverse lingue e l’esistenza di un possibilemodello universale per le parole scurrili. «In inglese alcune delle più volgari sembrano avere proprietà fonetiche comuni», ha dettoRyan McKay, psicologo allaRoyal Hollowaydi Londra. Sono spesso brevi, incisive e tendenzialmente includono i suoni p, t o k, chiamati consonanti di arresto perché interrompono il flusso d’aria in bocca mentre si parla. Le lingue francofonecostituiscono invece un’eccezione: nonostante i suoni particolarmente dolci che le caratterizzano, esistono varie parolacce o offese che contengono le consonanti l, r, w e y, anche se gli stessi partecipanti all’esperimento che parlavano francese erano più propensi a considerare volgari le locuzioni senza queste lettere Qualcosa di simile avviene anche coni suoni onomatopeici: per esempio, le parole che descrivono il miagolio di un gatto o il canto di un gallo sono simili in molte lingue. A livello globale, inoltre, quelle che descrivono l’apparato nasale spesso includono il suono N.