Opzione donna, le nuove regole

Sembrava che dovesse salvarsi dalle modifiche last minute e invece no.Opzione donna, strumento di flessibilità pensionistica rivolto alle lavoratrici, subisce una forte stretta dal nuovo esecutivo, che ne restringe la portata. Dopo le polemiche sullaflat tax, il reddito di cittadinanza e l’obbligo delpos, la nuova manovracambia i requisiti minimi di accessoalla pensione anticipata – pur comunque con una riduzione del 30% sugli assegni – che passano dall’età minima di 58 anni per le dipendenti (e 59 per le autonome)a 60 anni.Il criterio dell’anzianità contributiva, invece, rimane invariato a 35 anni. La misura, inoltre, non sarà più rivolta a ogni lavoratrice a prescindere della propria condizione famigliare e personale, ma potranno favorirne soltanto donne rientranti in tre categorie specifiche: le “caregiver familiari”, coloro che – al momento della richiesta – assistono da almeno 6 mesi il coniuge o parente di primo grado convivente con disabilità grave; leinvalide civilicon una riduzione della capacità lavorativa superiore o uguale al 74%; infine, lelavoratrici licenziate o dipendenti di imprese in stato di crisi, che potranno inoltre chiedere un anticipo di due anni rispetto al nuovo limite dei 60 anni. Una misura simile è riservata anche alledonne con figli, che potrannoridurre di un anno per ogni figlioil limite di età di accesso a Opzione donna, entro il limite minimo dei 58 anni. Innalzamento di età e nuovi criteri di accessorestringono di molto il bacinodelle potenziali lavoratrici interessate dalla misura, chescendono dalle potenziali 28.200 ad appena 2.900, con un risparmio non indifferente per le casse dello Stato: ben399,5 milioni di euro in 6 anni, a fronte del costo complessivo di 1,8 miliardi se venissero mantenute le regole attuali. Le critiche non si sono fatte attendere. Una agevolazione così decisa per le lavoratrici madri, tale da farla ribattezzare “Opzione Mamma”, sembrerebbe presagire profili di incostituzionalità, nonché effetti negativi verso le lavoratrici che, per scelta o per salute, non possono o non vogliono legittimamente avere figli. Uno svantaggio intollerabile, «un segnale di carattere ideologico che va respinto» anche per l’ex ministro del LavoroAndreaOrlando, che si augura «non mettano le mani sulle categorie dei lavoratori gravosi» già definite nella Legge di bilancio precedente.