L’industria musicale italiana ha un problema di gender gap

Ladisparità di genereattraversa anche la musica, in ogni contesto, da quello della produzione a quello artistico. Insomma, le donne sono poco rappresentate, sia sul palco che dietro le quinte, soprattutto in Italia. Basti pensare che ibrani maschilinel 2020 eranoil 91,85% del totale nazionale. In occasione dellaMilano Music Week, la rassegna che dedica alla musica una settimana di concerti, incontri, workshop e mostre, e per confermarsi promotore della pari rappresentazione di genere all’interno dell’industria creativa,ilSae Institute Milanoha lanciato due borse di studio dedicate alle donne tra i 18 e i 35 anni per due corsi in partenza a febbraio 2023:Urban Music ProductioneElectronic Music Production. Nella sua unica sede italiana, il network globale per la formazione neicreativemediaha voluto promuovere il contestWomen in Musicin collaborazione con Equaly, la community di professioniste della musica unite contro la discriminazione di genere, e Poche Cltv, un collettivo di music producer italiane. Perché «i numeri sono molto lontani dall’essere bilanciati. La cultura patriarcale è estremamente radicata e bisogna cercare di accompagnare tutti in questo percorso di cambiamento, studenti e studentesse, colleghi e colleghe», spiegaCarolina Bollani, tecnica del suono e parte del team di ricerca del progettoWomen in Music Industry, guidato dalla psicologaAlessandra Micalizzi. «La nostra ricerca è stata un punto di partenza per capire se la sottorappresentazione delle donne fosse solo una percezione», aggiunge Bollani. Spoiler: non lo era. L’indagine esplorativa condotta intervistando più di 40 persone tra producer, professionistə e artistə, mostra che, su scala internazionale, nell’ambito della produzione, il rapporto donna-uomo è 1 a 37, mentre le autrici di musica e testi sono poco più del 12% e le artiste totali solo il 21,75%. Lo mostrano i dati aggiornati al 2021 dell’“Inclusion in the Recording Studio?” dellaUSC Annenberg School for Communication and Journalism, finanziato dal servizio di musica in streaming più famoso al mondo, Spotify. In casa la situazione è ancora più complessa: secondo i dati del 2020 dell’Imaie, l’Istituto che si occupa della tutela dei diritti degli Artisti Interpreti Esecutori, guardando alle incisioni complessive in Italia si conta circa il 91,85% di brani maschili contro l’8,15% di testi scritti da donne. «Fanno eco a questi numeri la classifica di Billboard Italia, che tra le canzoni di successo tra il 2012 e il 2020 conta solo il 2,6% di produttrici, e quella di Spotify, secondo cui in Italia le musiciste sono il 14% del totale», spiega la ricerca di Micalizzi. I dati aggiornati al 2021 dell’Italia Music Lab, l’hub nato per supportare i giovani music creator italiani, confermano questa tendenza:nelle prime 20 posizionidei dischi più venduti in Italia nel 2021c’è solo un’artista, mentre tra gli autori iscritti alle maggiori società di collecting europee,le autrici rappresentano in media il 16%. Nelle classifiche di Spotify in Italia, le musiciste valgono il 14,1% del totale, i musicisti sono il 58,4%, mentre le band il 27,5%. La cantautrice, compositrice e producerElasi, co-fondatrice insieme alla collega Plastica del collettivo di music producer italianePoche cltv, spiega che «spesso mi chiedevano se facessi io le produzioni, oppure suonavo in un duo e si complimentavano con il mio partner. La colpa non è di nessuno, è un problema culturale enorme e la mancanza di riferimenti anche per noi produttricinon aiuta. Quando eravamo bambine non pensavamo neanche che fosse possibile fare il lavoro che facciamo». La producerKimerica, che si è unita al collettivo, nato nel 2021, non si è mai sentita meno competente perché donna, perché spesso negli ambienti piccoli il clima è molto inclusivo, ma «nel mondo del lavoro ho affrontato delledinamiche discriminatorie. Non ho notato barriere o ostacoli, ma molta diffidenza. Io stessa mi faccio molti problemi sul mio aspetto, per esempio, su come vado vestita a un evento, perché so che sarò criticata per quello che indosso:è una questione di credibilità. Ogni volta mi chiedo: “Sono abbastanza producer così?”. Non credo che gli uomini si facciano queste domande». «Prima di tutto bisogna fare un lavoro su noi stesse,intraprendereun percorso di consapevolezzasull’industria italiana», spiega Josie Cipolletta dal team diEqualy, realtà che da un anno si occupa della parità di genere all’interno del music business. «Ci siamo confrontate con alcune realtà internazionali che danno per scontato cose a noi aliene, perché non fanno parte di una società permeata dauna cultura patriarcalecome la nostra: all’estero la musica è un lavoro vero, anche per le donne», spiega Cipolletta. In occasione dellaGiornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donneEqualy ha propostoun questionario anonimoper indagare il fenomeno della violenza di genere nel mondo della musica: «In Italia tante colleghe non arrivano a coprire ruoli apicali nelle aziende perché a un certo punto si fermano, vuoi per la maternità o perché si sentono definire “maestrine” perché “sei troppo precisa” o “troppo isterica”. La parità non si raggiungerà mai finché continuiamo ad avere questi retaggi.Dobbiamo agire insieme ai nostri colleghi, che devono essere una parte fondamentale di questo percorso. E dobbiamo farlo adesso».