Commercio, anima della pubblicità

Commercio, anima della pubblicità

 

Mentre si sgonfia la decennale bolla deisocial network,avanza una nuova ondata di piattaforme per lapubblicità digitale. E come spesso accade, su internet, si tratta della soluzione meno ingegnosa e più semplice, ma che era nascosta dai pregiudizi. Già. Il pregiudizio vuole che piattaforme che si occupano di informazione raccolgano attenzione del pubblico per poi rivenderla agli inserzionisti pubblicitari. Questi a loro volta sperano che il pubblico veda i loro annunci e vada a vedere quali sono i prodotti che si possono comprare, per poi andare al negozio a comprarli. Una serie di passaggi che era pienamente comprensibile nel mondo analogico. Ma che non lo è molto nel mondo digitale. In effetti, la nuova ondata dellapubblicità digitaleè partita dalle piattaforme per ilcommercio elettronico.Queste attirano un traffico ragguardevole. E con i lock-down decisi per contenere la diffusione della pandemia hanno raggiunto livelli mai visti prima. E quindi hanno deciso che quel traffico poteva essere indirizzato anche a vedereinserzioni pubblicitarieparticolarmente interessanti per gli inserzionisti, proprio perché contestualizzate nello stesso posto nel quale i consumatori possono passare all’azione e comprare. Le piattaforme conoscono gli utenti in modo molto preciso: non hanno bisogno di inferire chissà quali ipotesi sui loro gusti e orientamenti, perché sanno direttamente che cosa comprano o cercano di comprare e quindi possono proporre inserzioni miratissime, con efficacia notevole. Non per niente negli Stati Uniti,Amazon,Walmarte altre compagnie di vendite al dettaglio che hanno una forte presenza online stanno conquistando budget pubblicitari ragguardevoli. SecondoeMarketer, lepiattaforme di Google (Alphabet) e Facebook (Meta)restano leader nella raccolta pubblicitaria, con più di 60 e 50 miliardi di dollari rispettivamente negli Usa, ma i venditori al dettaglio nel loro complesso ormai raccolgono quasi 40 miliardi di pubblicità sempre negli Stati Uniti. Anche altrove si sta andando nella stessa direzione, come mostrano i casi del Regno Unito e della Francia, secondo un’inchiesta delFinancial Times. Come sempre, nelle faccende che riguardano imedia, le vecchie soluzioni non spariscono ma si riposizionano. Sarà interessante vedere se siamo già a questo punto per i social network. Per oraa pagare per l’espansione della pubblicità raccolta dalle catene di distribuzione online sono ancora i giornali e la radio.Ma le difficoltà di Facebook sono evidenti, almeno in termini di rallentamento della crescita. La domanda è: i social network si riposizioneranno sulla raccolta di pubblicità per il branding, un po’ come è toccato ai giornali, o troveranno altre strade? Nel primo caso dovranno drasticamente riqualificare la qualità della loro offerta informativa, forse addirittura facendo pagare per il servizio, come ha tentato maldestramente di fare Elon Musk arrivato a Twitter. Già si vede quante preoccupazioni manifestano i grandi brand internazionali che non si fidano della qualità del contesto per le loro inserzioni offerta da Twitter o Facebook. Nel secondo caso, invece, dovrà cambiare il modello di business deisocial network: si pensa che possano tentare, come avviene in Cina, di diventare delle super applicazioni in grado di offrire anche soluzioni di acquisto di beni e pagamenti.