Meno carne, meno riscaldamento globale

Meno carne, meno riscaldamento globale

 

Percontrastare il cambiamento climatico, incentivare allariduzione del consumo di carne e di altri prodotti di origine animale dovrebbe essere una prioritàdella comunità internazionale riunita in questi giorni allaCop27, ma nonostante gli appelli a invertire la rotta da parte dei più autorevoli organismi internazionali, tra i quali Ipcc(Intergovernmental Panel on Climate Change),Oms(Organizzazione Mondiale della sanità)e Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il consumo nel mondocontinua ad aumentare. Questo accade senza che sia stata finora implementata alcuna strategia concreta per evitare che la zootecnia intensiva provochi la distruzione degli ecosistemi e l’estinzione di intere specie nel mondo,come denunciatodal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Lanecessità di ridurre il numero di animali allevati e il consumo dicarneè urgente non solo perché lo sfruttamento di questi esseri viventi è estremo e le forme di protezione sono insufficienti, ma anche perchél’industria della carne è uno dei principali responsabili di emissione di gas serra. A dirlo sono numerose ricerche internazionali che mostrano come l’aumento di carne a livello globale siaconnessoalla crescita delle emissioni inquinanti. Se la Faoha stimatonel 2006 che il 14,5% delleemissioni di CO2nel mondo provengono dall’allevamento degli animali, uno studio più recente pubblicato suNature Foodha analizzatoinvece l’intera filiera, dalla produzione di mangimi all’allevamento, passando per il trasporto, fino a giungere al consumo nel piatto. Ciò che è emerso da questa osservazione è chel’impatto ambientale dell’industriaalimentareè di 9,796 miliardi di tonnellate,pari al 35% di gas serra nel mondo. Uno studio dellaUniversity of Sydneyha registratoun costanteaumento del consumo globale di carne, passato da 29,5 kg per persona all’anno nei primi anni 2000 agliattuali 34 kg. In Italia la crescitaè di 79 kgdi carne pro-capite ogni anno, addirittura più del doppio della media mondiale. Tuttavia di questo consumo così massiccio non c’è alcun bisogno, anzi, soltanto nell’Unione europeaè circa il 70% in piùrispetto a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le modalità predatorie che caratterizzano l’industria zootecnica, insomma, sembrano dipendere anche da unadomanda di carne che purtroppo non accenna a diminuire, a danno di animali, ambiente e persone. Come mostrato attraverso il nostro lavoro investigativo,gli allevamenti intensivi comportanoinfattisofferenza, diffusione di malattie e deforestazione, solo per citare alcune gravi conseguenze. ComeAnimal Equalitychiediamo quindi uncambiamento del sistema alimentareche supporti il progetto del Green Deal europeo di raggiungere unsistema alimentare più equo e sostenibile, riducendo il numero di animali allevati, adottando politiche di protezione ambientale e favorendo la produzione di proteine vegetali. L’alternativa alla distruzione dell’ecosistema, dunque, esiste. Cosa aspetta quindi la comunità internazionale ad affrontare un problema che danneggia tutti?