Iran: a morte chi protesta
Sono «nemici di Dio e dell’Iran» enon meritano «nessuna pietà». Così si è espressa la maggior parte del parlamento iraniano (227 deputati su 290) che invoca lacondanna a morteper chi partecipa alle manifestazioni in corso in tutto il paese da ormai quasi due mesi. In unadichiarazioneapprovata il 6 novembre la quasi totalità delmajlessi è rivolta al potere giudiziario invocandoun’azione «decisiva nel minor tempo possibile»contro chi protesta e contro chi che li sta incitando. Il capo del potere giudiziarioMohseni-Ejei, già accusato di molteplici violazioni deidiritti umani, ha sostenuto a sua volta l’uso della pena di morte davanti al Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale in un incontro tenutosi il 7 novembre. Il documentopunta il dito anche contro gliUsa, condannando la loro ingerenza in diversi paesi del Medio Oriente, incluso l’Iran. Secondo i parlamentari, Washington avrebbe preso il controllo della contestazione e starebbe aiutando i manifestanti con armi e finanziamenti, incoraggiandoli ad attaccare le forze di sicurezza. Leaccuse ai nemici esterninon sono una novità nella propaganda della Repubblica islamica e anche in questo caso la guida supremaAli Khameneie il presidente Ebrahim Raisi si erano già scagliati contro le potenze straniere, colpevoli di aver istigato i rivoltosi, paragonati ai miliziani di Daesh che «attaccano la vita e la proprietà». Le persone che stanno protestando sono state definitemohareb,nemici di Dio, e accusate di«corruzione sulla terra»(efsad-e fel-arz) e«ribellione armata»(baghi),colpe passibili della pena di morte. Le stime sulle persone arrestate e quindi a rischio della pena capitale variano a seconda delle fonti, ma si aggirano sull’ordine delle migliaia. Nella sola provincia di Teheran sarebbero almeno 1.000. Nelle scorse settimane sono già stati aperti i processi per condannare a morte5 personeche hanno preso parte alle proteste. Il deputato Seyed Nezame-din Musawi ha rilasciato ieri unadichiarazioneper cercare di placare il forte movimento suscitato dal documento dei rappresentanti. Secondo Musawi esiste una distinzione tra «vandalismo» e «protesta» e sottolinea che l’appello fa riferimento a chi «ha fatto ricorso alla violenza» enon alla totalità dei manifestanti. Specifica anche che non si fa menzione della pena di morte, ma della «vendetta» (qisas,un concetto islamico che implica una punizione analoga alla colpa commessa,ndr) che merita chi ha tolto la vita ad altre persone: «non è accettabile usare la protesta come giustificazione per uccidere enessuna tolleranza è accettabile per questi crimini». Secondo una dichiarazione delCenter for Human Rights in Iranl’appello del parlamento iraniano testimonia ladebolezza dei vertici della Repubblica islamica, pronti a qualsiasi cosa pur di stroncare le manifestazioni. L’organizzazione basata in Norvegiastimache dall’inizio delle proteste siano già stateuccise più di 300 persone, di cui 40 minori. Solo nel 2022, l’Iranha eseguito 465 condanne a morte, per un totale di 6876 dal 2010. Il rischio è che il governo di Teheran possa ricorrere alleesecuzioni di massa per silenziare le proteste. Questa eventualità riporta alla mente il periodo buio dei cosiddetti“tribunali dellamorte”(capeggiati proprio dall’attuale presidente Raisi) e le esecuzioni sommarie di massa di migliaia di persone tra il 1988 e il 1989. Le proteste sono iniziate lo scorso 16 settembre, dopo la morte diMahsa (Zhina) Amini, una ragazza curda di 22 anni fermata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente ilvelo. Da questo ennesimo episodio di violenza nei confronti di una donna è partito un movimento che reclama non soloparità di diritti di genere, ma anche la fine dell’oppressione da parte della Repubblica islamica.