Australia: serve una moda più “verde”

Durante l’inaugurazione dellaFashion Week di Melbourne, è stato pubblicato lo studioTextiles: a trasnsitions report for AustraliadelSustainable Development InstitutedellaMonash University,che denuncia glisprechi dell’industria della moda australiana, settore chiave per l’economia del Paese, e che chiede al governo di mettere in pratica politiche per ridurne l’impatto ambientale. Seconda dopo gli Stati Uniti, l’Australia, infatti, contribuisce a gran parte delleemissioni dell’industria tessilee della moda in tutto il mondo. È stato stimato che gli australiani comprino, in media,15 chili di nuovi capi di abbigliamento all’anno -più o meno 56 nuovi indumenti – dei quali più del90% finisce in beneficienzao semplicemente nellaspazzatura. Un altro dato rilevante da tenere in considerazione è che l’Australia viene considerata laleader mondiale nel consumo di materie prime per l’industria tessile, con un apporto di 47 tonnellate pro capite, quasi il doppio dell’Osce. Data l’importanza economica del settore della moda nel Paese, i ricercatori non si sono limitati a presentare numeri e statistiche o a denunciare lo stato attuale delle cose. Al contrario, sottolineando il potenziale di crescita e di rinnovamento, hanno proposto7 percorsiin linea con l’Agenda 2030, con l’obiettivo ditrasformare l’industria tessilein un’industria green. I ricercatori suggeriscono di fissare obiettivi vincolati e misurabili per ridurre l’impatto ambientale del Paese, tra cuiinvestire in pratiche industriali responsabili e sostenibili,accelerareacquisti nazionali sostenibilie incentivare l’uso di materiali riciclatie ridurre quelli “vergini”. Il lavoro dei ricercatori diventa ancora più importante e rivoluzionario, poi, se lo analizziamo in un contesto internazionale. È stato stimato, infatti, che entro il 2030 si produrranno 102 milioni tonnellate di capi di abbigliamento in tutto il mondo, con un aumento del 63% rispetto al 2015. Questo ritmo di produzione e consumo, però, ha un grave impatto sul nostro pianeta, in quanto contribuisce alla scarsità d’acqua, all’inquinamento e in generale al cambiamento climatico, intacca la biodiversità e degrada il suolo. In questo senso, i cambiamenti suggeriti hanno il potenziale di favorire una transizione, a livello nazionale e internazionale, verso una moda e un’industria tessile circolare. Se, per esempio, consideriamo il contesto italiano, dove il made in Italy è considerato un marchio d’eccellenza a livello mondiale, le politiche suggerite potrebbero diventare anche nel Bel Paese un modello da perseguire. Attenzione però: non sono solo le normative nazionali e internazionali a influenzare un settore, come quello della moda, ma anche iconsumatori, nelle loroscelte individuali,possono (e devono) creare una domanda adeguata a un mercato green. La transizione ecologica non avrà successo se domanda e offerta non vanno di pari passo.