I nomi dei colori, un universo di sfumature

Glieschimesihanno almenoventun modi per dire neve. Siamo sicuri che l’avrete sentito dire più volte, anche se – ci duole dirlo –non è del tutto vero*. Questomito pseudo-scientifico, però, potrebbe riflettere un fenomeno molto più reale. Come ha spiegato in unarticoloPedro Raúl Montoro Martínez, professore di Psicologia dell’Universidad Nacional di EducationdiMadrid, infatti, il mondo dei colori, come molti altri aspetti della percezione, può essere influenzato dalle differenze culturali e dalle esperienze di apprendimento, tra le quali la lingua che parliamo. Chi ha studiato linguistica avrà familiarità con la cosiddettaIpotesi di Sapir-Whorf, anche detta dellarelatività linguistica, diffusa nella prima metà del secolo scorso, secondola quale la lingua che impariamo influisce drasticamente sul modo in cui percepiamo, ricordiamo e pensiamo il mondo. Questa teoria, applicata ai colori, sembrava essere stata sconfessatada unostudiodel 1969: gli antropologiBrent Berlin e Paul Kay, infatti, studiando il vocabolario dei colori in 100linguediverse,avevano scoperto come i termini per indicare le varie tonalità dei colori non fossero arbitrari, ma seguissero una precisa gerarchia: «se una lingua ha solo due parole per indicare i colori, allora sono bianco e nero. Se ne ha tre, sono bianco, nero e rosso. Con cinque termini, verde e giallo si aggiungono ai precedenti. E così via». Secondo questostudio, quindi, piuttosto che la relatività linguistica la gerarchia seguirebbe uno schema universale basato suisei colori fondamentaliproposti dalle teorie della percezione cromatica:bianco, nero, rosso, verde, giallo, blu. Eppure,studi più recenti dimostrano che la situazione non è così semplice. Come spiegaMartínez, «in inglese e spagnolo esiste un termine di base per riferirsi ai colori bluastri. Tuttavia, in lingue come il russo, il greco e il turco, ci sono termini diversi per azzurro e blu scuro. a esempio in greco si diceghalazio(azzurro) eble(blu scuro)». Secondo le ricerche,i parlanti di queste lingue non solo sarebbero più velocie sicuri nel distinguere le due tonalità ma, rispetto a inglesi e spagnoli,individuerebbero anche le sfumature intermediecome colori diversi, enfatizzando le differenze percettive. Questonon è l’unico studio(né l’unico colore analizzato) che dimostra come il raggruppamento che ciascuna lingua usa per nominare i colori influenza il modo in cui sono percepiti e ricordati dai suoi parlanti. Lareview Color Perception: Objects, Constancy, and Categories, pubblicata sull’ Annual Review of Vision Science, a esempio, mostra che secondo diversi studila lingua ha un impatto reale– sebbene più limitato di quello ipotizzato da Whorf –sul modo in cui percepiamo il colore. Anche unapprofondimentoche ha analizzato la percezione del colore blu nelle linguecineseemongolasembra confermare quest’ultima visione, sebbene la velocità della ricerca visiva in blu e verde non escluda e anzi suggerisca un aspetto universalistico: «la differenza tra i parlanti cinese e mongolo nella regione del blu suggerisce un aspetto relativistico della lingua e della percezione del colore». Questo certifica anche che la nostra percezione può cambiare: significativamente, secondo lo studioPerceptual shift in bilingualism: Brain potentials reveal plasticity in pre-attentive colour perception, alcune persone di lingua greca che avevano vissuto a lungo nel Regno Unito a causa dell’influenza della lingua inglese avevano maggiori difficoltà a distinguereghalazioeble. D’altro canto, però, questosignifica anche che il nostro modo di percepire i colori può essere allenatoe che ciascuno di noi, indipendentemente dalla lingua madre o da quella acquisita, può espandere il proprio vocabolario dei colori, imparando così a distinguere diverse sfumature. *Se ve lo state ancora chiedendo, la lingua Inuit ha solo quattro parole base per indicare la neve, dalla combinazione delle quali derivano altre forme.