La Siccità di Virzì: fiction o documentario di un futuro prossimo?

È paradossale cheSiccità, l’ultimo attesissimo film diPaolo Virzìdal titolo drammaticamente contemporaneo, sia approdato questa mattina in anteprima allaMostra del Cinema di Venezia, città il cui destino è da sempre indissolubilmente legato all’acqua, proprio in uno dei rarissimi giorni di pioggia di un’estate infinita dal clima sahariano. Roma, Anno Domini imprecisato di un futuro non troppo lontano:non piove da 367 giorni, il Tevere in secca sembra il deserto del Sinai, eserciti di blatte infestano le case, le automobili sono ricoperte da uno strato di sabbia, le bottiglie d’acqua vengono razionate o vendute a peso d’oro, è imminente la sospensione delle forniture idriche, la gente per strada accusa colpi di sonno improvvisi, finché negli ospedali iniziano a registrarsi i primi casi di decessi dovuti a una misteriosa pandemia. È evidente più di un rimando agli aspetti più grotteschi e sinistri della recente emergenza sanitaria, come gli hashtag beffardi che compaiono per le strade (“#andràtuttobene” e “#romacelafarà”), gli influencer che offronotutorialsu come fronteggiare la crisi(inclusa una ricetta di cucina per risparmiare acqua), gli spioni che accusano gli altri di violare le regole (nel caso specifico, la vicina di casa che innaffia di nascosto una piantina di rosa canina sul balcone) e gli ex signori nessuno diventati all’improvvisomaître a pensere divi televisivi. Virzì, che utilizza il genere catastrofico e uncast di eccellenza(in primis,Valerio Mastandrea, Silvio Orlando, Claudia PandolfieTommaso Ragno) per indagare le relazioni umane, ha scomodato Paolo Giordano e il resto della meglio gioventù degli scrittori italiani per dare coerenza narrativa a quello che – per sua stessa ammissione durante la conferenza stampa – non poteva che essere un film corale. In un’atmosfera apocalitticaresa efficacemente dai toni giallo-ocra della fotografia quasi desaturata di Luca Bigazzi, assistiamo all’intreccio tra i destini di una moltitudine di personaggi che, in costante affanno non solo per l’emergenza idricama per le proprie miserie quotidiane, alla fine come nei migliori film di Altman riescono a ricongiungersi in un’unica voce, senza distinzione di sesso, razza, età e condizione sociale:abbiamo sete, non solo d’acqua ma di sentimenti.Qualcuno lì in alto sembra ascoltarli e fa scendere su quest’umanità dolente una pioggia torrenziale e liberatoria. E il messaggio più profondo del film, che secondo le intenzioni del registra dovrebbe darci speranza, è che l’unico modo per salvarsi dall’estinzione è di rimanere interconnessi. Al di là di suggestioni e metafore cinematografiche, quello che rimane uscendo dalla Sala è chequesto rischia di essere tra qualche anno,più che un’opera difictionapocalittica in stileContagion, undocumentario su quanto di irreparabile è successo, in Italia e nel mondo intero, negli anni ’20 del Nuovo Millennio, a causa di un processo che solo i più ottusi non avvertono sia da tempo drammaticamente in atto. E anche la stessa malattia del sonno che colpisce le vittime del film è una chiara metafora all’intorpidimento dei sensie allamancanza di una coscienza collettivadi fronte a quest’emergenza globale. Spiace solo che questo film, che aveva un enorme potenziale, ponga tante domande manon offra alcuna risposta concreta. Da mesi la stampa più sensibile a queste tematiche ambientali ha individuato le quattro principali emergenze a livello globale: temperature africane, siccità estrema, scioglimento dei ghiacciai e incendi. CNR e Coldiretti sono in allarme da mesi: il2022 è l’anno più arido di sempre, o almeno da quando vengono rilevati questi tipi di dati. Mi auguro che la gente corra in sala a vedere questo film non solo per restituire ossigeno all’industria del cinema ma per capire che lascarsità di precipitazioninon dovrebbe preoccupare soloagricoltorie le rispettive associazioni di categoria ma tutti noi.Temperature in media più alte di 3 gradirispetto allo scorso anno vanno a incidere su raccolti, ma in generale sull’ecosistema, determinando il rischio dello scoppio di nuovi virus ed epidemie. Nelle parole di una delle giovani protagoniste (“la colpa è vostra e del mondo che ci avete lasciato”) c’è un chiaroj’accusealle precedenti generazioni per quello che sta succedendo e, in un’altra scena, a chi chiede a gran voce una risposta delle istituzioni qualcuno risponde “è anche una questione di responsabilità individuale”. Siccitàdi Paolo Virzì, dal 29 settembre al cinema Paolo Virzì, ritratto di Paolo Ciriello Paolo Virzì, ritratto di Paolo Ciriello