Afghanistan: un anno dopo la ritirata degli occidentali

A un anno dalla fine della presenza delletruppe occidentalisul suolo afghano, iTalebanicontinuano a consolidare il loro potereincontrandoun’opposizione limitata e priva di forze sufficienti per rimettere in discussione il nuovo status quo. I maggiori leader delle forze ribelli si sono rifugiati mesi fa inTagikistan, fra cui il figlio del famoso condottieroAhmad Shah Massoud morto nel 2001 per mano diAl Qaeda, abbandonando il controllo della provincia del Panjshir nel nord dell’Afghanistan. Secondo Omar Sadr, ricercatore dell’Università di Pittsburgh, la realtà sul terrenoè cambiatarispetto al precedente regime talebano dove i guerriglieri di etnia tagika controllavano dei territori: «Questa volta è sostanzialmente diverso. IlPanjshirè occupato. Ora la resistenza è nelle montagne; essi non controllano i villaggi o le strade principali. Questo rende il compito molto più difficile in termini di logistica necessaria al combattimento; impatta sulla qualità della resistenza». La stessa popolazione afghana, dopo 40 anni di guerre e milioni di vittime, è stanca di continue lotte interne e più propensa ad accettare passivamente il nuovoregime, anche se liberticida e repressivo. Nonostante lepromessefatte un anno fa, i vari potentati del governo talebano hanno impostorestrizioni severe alle donne e alle bambine, soppresso i mass media, ed eseguito esecuzioni sommarie, detenzioni illegali e torture nei confronti degli oppositori. «Gli afghani stanno vivendo un incubo riguardo i diritti umani, vittime sia dei Talebani che dell’apatia internazionale. Il futuro dell’Afghanistan rimarrà cupo a meno che i governi stranieri non si attivino in maniera più energica con le autorità talebane, facendo vigorose pressioni sulla situazione deidiritti umani», haammonitoFereshta Abbasi, ricercatrice diHuman Rights Watch. Ma i rapporti fra gli occidentali e le forze talebane sono ai minimi termini, a causa della disastrosa guerra durata 20 anni e lecontinue diffidenze americanenei confronti degli ambigui legami fra il regime al potere e le forze rimanenti di Al Qaeda. In mezzo a questo scenario convulso, dove al momento nessuna nazione al mondo ha riconosciuto ufficialmente il nuovo governo in carica, diverse Potenzestanno provandoa instaurare dei legami su questioni economiche e geopolitiche, a partire dalle nazioni più prossime come Iran, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita,Cinae Russia. Oltre ai possibili interessi commerciali e diplomatici, vi è il desiderio di stabilizzare l’area soprattutto in funzione anti-Isis, dato che da tempo sono in corso ferociscontrimilitari fra le forze talebane e i seguaci del Califfato. Uno dei principali Paesi candidati a estendere lapropria influenzasull’Afghanistan è la Cina, attratta dalla possibilità di sfruttare leimmense risorse minerariepresenti e il possibile corridoio per il vasto progettoOne Belt, One Road. Un tentativo ambizioso che vuole sfatare l’eterna maledizione dell’Afghanistan, considerato da sempre la “tomba degli imperi”.