Gli angeli e i demoni di Victoria’s Secret

Gli angeli e i demoni di Victoria’s Secret

 

Pare proprio che le case di produzione e le piattaforme streaming ci stiano prendendo gusto a svelare gli scandalosi retroscena deimarchi di moda, simbolo di un’epoca. Dopo il razzismo diAbercrombie&Fitchsu Netflix, ecco un nuovo documentario che delizierà gli amanti del genere:Victoria’s Secrets: Angels and Demons. Ancora una volta, una storia che racconta una rapida ascesa e una disastrosa caduta: il chiacchierato marchio di lingerie, che ha scalato le vette del successo con le sue inconfondibili passerelle. Un documentario targatoHulue diviso in 3 puntate dirette daMatt Tyrnauer, autore diValentino: The Last Emperor, incentrato sulla vita dello stilista. La parabola del brand comincia tra gli anni ’90 e 2000, un decennio in cui Victoria’s Secret giunge rapidamente a dominare il mercato dibiancheria intima. All’ondata di popolarità della casa di moda contribuirono soprattutto le celebri sfilate introdotte già a partire dal 1995 e il piccolo esercito di fedelissime modelle, considerate all’epoca le più richieste al mondo. Tra i nomi gettonatissimi spiccava infattiNaomi Campell, Adriana Lima, Gisele Bundchen e Heidi Klume negli ultimi anni, prima che le sfilate venissero definitivamente cancellate, persino lesorelle Hadid. L’altro fattore determinante era rappresentato dal fatto che il brand aveva cavalcato con un certo tempismo il cosiddetto“sexuality-as-empowerment feminism”che aveva vissuto i suoi anni d’oro con serie tv come “Sex and the City”. Tra gli errori strategici compiuti, secondo la ricostruzione del documentario, ci sarebbe il lancio nella linea Junor, Pink: modelle appena ventenni che indossavanoabiti eroticicon tanto di caramelle e leccalecca. Persino il giovane rubacuori Justin Bieber, che all’epoca aveva 18 anni e aveva già accumulato due dischi di platino, è stato assunto per esibirsi in passerella, rafforzando l’appello per gli spettatori minorenni. Intorno al 2010, poi, mentre il movimentoMe Toootteneva i primi riconoscimenti, il brand calava nelle statistiche di gradimento e veniva accusato dimisoginia, ambiente lavorativo tossico e non inclusivo. La vera natura del marchio, quella che si celava dietro il mito e le copertine patinate, era emerso pian piano tra ledenunce di molestiesempre più numerose da parte delle modelle. Il colpo di grazia era stato inferto dall’intimo legame d’amicizia tra Leslie Wexner e Jeffrey Epstein, allora indagato per traffico sessuale di minori. Unmanipolo di leader maschidi Victoria’s Secret, tra cui Razek e il presidente ed ex CEO Les Wexner, proibivano qualsiasi attenzione allamaternitào all’abbigliamento modellante. «Perseguivamo unavisione della donna irraggiungibile, secondo i gusti degli uomini», spiega nel documentario l’ex dirigente Sharleen Ernest. Un anno dopo le dimissioni di Wexner, nel 2020, Victoria’s Secret ha annunciato il suorebranding completo, come un nuovo “VS Collective” inclusivo guidato da donne come Megan Rapinoe, Eileen Gu e Paloma Elsesser. L’inizio di unainversione di tendenza?