Il robot dei marmi apocrifi

Per l’Italia è la Gioconda di Leonardo da Vinci che dal Rinascimento dimora in Francia, per laGreciasono imarmi del Partenonedel V secolo a.C., che nel 1817 furono trafugati dall’Acropoli di Atene e trasferiti al British Museum per mano del diplomatico Thomas Bruce, conte di Elgin, e per questo noti anche comemarmi di Elgin. Le reazioni a quest’atto di spoliazione, com’è facile intuire, non furono entusiaste. Nel 1811George ByronscagliòLa maledizione di Minervacontro la «preda derubata» e, ancora, a maggio di quest’anno laministra greca della Cultura e dello SportLina Mendonisi è espressa con parole che sembrano il verbale di una sentenza: «Lord Elgin ha usato mezzi illeciti e iniqui per sequestrare ed esportare le sculture del Partenone, senza un reale permesso legale per farlo, in un palese atto di furto seriale», hadichiarato. A favore della restituzione siespresseperfino l’ex premier ingleseBoris Johnson, salvo poi, da dissidente di professione, smentire se stesso e sostenere il “remain” inpolemicacol “monument man” George Clooney. Oltremanica, però, c’è chi la pensa diversamente. «Siamo aperti a esplorare qualsiasipotenzialeprestitocon il riconoscimento formale del titolo del prestatore sugli oggetti e l’impegno a restituire gli oggetti come precondizione standard», ha affermato un portavoce del British Museum. La questione resta aperta, e i marmi, come si addice al materiale, sembrano inamovibili. Ma oratra i 2 contendenti si mette di mezzo il 3D. L’Istituto per l’archeologia digitale (Ida – Oxford), infatti, vuole ricreare copie esatte delle statue attraverso l’ausilio di robot all’avanguardia made in Italy. A progettarli è l’azienda di CarraraRobotor, fondata nel 2019 dagli imprenditori Giacomo Massari e Filippo Tincolini come costola operativa diTor Art, società specializzata nell’applicazione di nuove tecnologie per la lavorazione del marmo impiegato nell’arte e nel design. «Quando due persone vogliono entrambe la stessa torta, cuocere una seconda torta identica è una soluzione ovvia», hadichiaratoal New York Times il direttore esecutivo dell’IdaRoger Michel, che ha ribadito come «il nostro unico scopo èincoraggiare il rimpatriodei marmi di Elgin». Il robot-scultore si è giàesercitatocon la riproduzione dell’Arco monumentale di Palmira, a nord della Siria,distruttodalle milizie dell’Isis nell’ottobre 2015, ma a marzo il British Museum hanegatoall’Istituto di Oxford il permesso di scansionare un pezzo della collezione custodito nella Duveen Gallery. Per tutta risposta Michel e Alexy Karenowska, il direttore tecnico dell’Istituto, si sono ripresentati armati di iPhone e iPad e hanno portato a termine la scansione affermando che le linee guida del British Museum «autorizzano chiaramente» l’uso di software 3D per l’acquisizione di immagini. Così il 29 giugno il braccio meccanico del robot ha iniziato a intagliare ilmarmo penteliconel laboratorio toscano ai piedi delle Alpi Apuane, realizzando due modelli di unatesta di cavalloche dovrebbero essere completati entro la fine di luglio al termine della fase di rifinitura. «Le nostre repliche avranno un certo grado di ripristino del colore, in particolare le tonalità della pelle», ha affermato Michel, che vuole eseguire laverniciatura a manocosì da «immunizzare» le copie dalle possibili riserve da parte della critica accademica. Ma qualcuno ha già da ridire. «Esattamentechi sta chiedendo questa replica?Quali sono le implicazioni politiche?», si è domandata l’esperta di archeologia digitale e patrimonio presso l’Università di York Colleen Morgan. «Quando gli artefatti diventanosimboli del nazionalismoe del potere statale – ha aggiunto – dobbiamo stare molto attenti alle persone con e per le quali stiamo lavorando e allo scopo per cui lo stiamo facendo». Per quanto identici nella forma, inoltre, imarmiclonati rappresenterebbero pur sempre una copia, e secondo gli addetti ai lavori èimprobabile che il British Museum accettidegli esemplari apocrifi dopo le resistenze mostrate finora. «È difficile immaginare che chiunque voglia che i marmi rimangano al British Museum sarà soddisfatto di qualcosa prodotto in parte dai robot quando gli originali rappresentano per loro il culmine dell’arte umana», sostiene la classicista britannica Daisy Dunn.