Senza la libertà di aborto la Chiesa non avrebbe le sue sante

In questo caldissimo giugno del 2022 cade una ricorrenza importante per molti credenti italiani: i dieci anni dalla “nascita al cielo” (ovvero la morte) diChiara Corbella Petrillo, beata della Chiesa e, forse, futura santa della Chiesa stessa, deceduta a soli 28 anni. Una scelta né eroica, né folle La sua è una storia che coinvolge totalmente, quasi ipnotizza. Dall’esterno, potrebbe sembrare il racconto un po’ deja vu di una madre molto fervente che ha deciso dinon abortiree, avendo un tumore, di non curarsi, morendo così dopo la nascita di suo figlio. Qualcosa di sovrannaturale e, al tempo stesso, anche incomprensibile e inquietante, anche perché Chiara ha deciso di non abortire nonostante le estreme circostanze non una ma ben tre volte: durante la prima gravidanza lei e il marito Enrico scoprono che ilfeto è gravemente malformato, non avendo sviluppato il cervello. Nonostante questo, decidono diportare avanti la gravidanza. Chiara chiede a Dio due cose: un parto naturale e la possibilità di battezzare sua figlia. E di fatti così accade. Durante laseconda gravidanza, accade un identico dramma: il feto è maschio ma è gravemente malformato e non può sopravvivere. Allo stesso modo decidono di farlo nascere, e lo battezzano prima di morire. Infine Chiara resta incinta di un figlio sano, ma durante la gravidanzascopre di avere un tumore.Decide di seguire solo le cure compatibili con la gravidanza, il bambino – dopo Maria e Davide – nasce, sano, si chiama Francesco. Ma lei sopravvivrà soltanto un anno. Questi sono gli scarni fatti che però poco dicono se non si approfondisce un poco. A differenza di quanto si possa immaginare, ascoltando le poche testimonianze video di Chiara, ma anche leggendo ciò che lei ha detto o le cose scritte su di lei, non si ha in nessun modo la percezione di una donna invasata, che non tenga alla propria salute o alla vita. La testimonianza della sua prima gravidanza è toccante. Con parole semplici, ma scelte con attenzione, lei spiega di non aver fatto alcun atto eroico non abortendo. Semplicemente,ha seguito i suoi sentimenti. La bambina era viva, scalciava, dunque per lei era lì, non importa con quale grado diperfezione fisica. Era una persona e la sentiva come tale. La “gioia” che racconta di aver provato durante la gravidanza non appare qualcosa di folle e forzato. Il suo ragionamento è semplice e toccante: se lei, la bimba, è lì, ed è viva, cerchiamo di vivere con lei questo periodo che ci è dato da vivere e abbracciamola alla nascita. Niente di più. Lo stesso per il secondo figlio. Seguire il sentimento E per questo non siamo poi così distanti – questo è quello che si percepisce ascoltandola – lei e noi “laiche” che certamenteentrambe le circostanze avremmo abortito. Lo strazio e il dolore che probabilmente (non direi mai certamente) avremmo provato abortendo, sia nel caso dei feti malformati, sia nel caso in cui le cure per la malattia non fossero state compatibili con la gravidanza, in fondo evidenziano la stessa percezione: quella di un feto come di una piccola persona in fieri, che amiamo fin dal primo momento e dal quale è straziante separarsi. Chiara prova lo stesso, ma rovescia la sua scelta decidendo di non abortire. Ma, appunto,il sentimento è simile. Certo, nel suo caso c’è unosfondo religioso alle spalle,c’è la convinzione che la propria volontà sia quella che Dio vuole, ma umanamente parlando paradossalmente ci si sente vicini a lei pur nella lontananza delle posizioni. Anzi, per certi versi questa accettazione della vita esattamente così com’è – e come lei stessa la racconta senza alcuna retorica – ha qualcosa non solo di commovente ma anche liberatorio. Per certi versi, tutte vorremmo poter avere questacapacità di accettazione,specie perché appoggiata da una comunità intera, come quella che ha appoggiato Chiara, sia da un compagno, che ha sempre rifiutato ogni lettura romantica, ideologica della loro vicenda. Anche di recente, contestando quanto scritto nel libro di catechismo del figlio a proposito della moglie, raccontata come una donna che ha scelto di morire per salvare suo figlio. Di nuovo, così non è. Chiara ha scelto l’unica strada per lei possibile:proteggere il bambino e fare le tutte le cure compatibili. Aborto, un diritto che conviene anche ai credenti Ma perché parlare di Chiara Corbello Petrillo mentre laCorte Suprema americanadecide che l’aborto non è più un diritto costituzionale? Non è forse una contraddizione? No, a mio avviso perché la storia di Chiara dimostra con chiarezza che non sarebbe mai potuta diventare beata, né santa in futuro, se non fosse statalibera di scegliere secondo il suo sentimentoe secondo i suoi valori. Dove sarebbe stata la santità se a Chiara fosse stato impedito di abortire? Se fosse stata costretta a continuare le sue gravidanze non scegliendolo? Come avrebbe potuto gioire, come invece ha fatto sentendo che quella scelta, non abortire, era ciò che più le corrispondeva? Ridurre o togliere ildiritto di abortonon conviene in nessun modo neanche a chi, cattolici per primi, credono che l’aborto sia un peccato. Mai in nessun passaggio Chiara dice che non abortirà “perché è un peccato” ma sempre perché non si addice al suo modo di essere madre, al suo sentire profondo. E questo vale, per rovescio, per tutte.Nessuna scelta può essere morale se non c’è libertà di scelta.In questo senso, ciò che conta non è il contenuto della scelta, l’aborto o il non aborto, ma la libertà che si ha nel farlo. Anche l’aborto può essere una scelta morale, spesso lo è, ma solo se è fatto in consapevolezza e senza costrizioni di sorta. Non sarebbe d’altronde aberrante una società che costringesse le donne ad abortire sistematicamente, proprio come il suo contrario? Per questo l’aborto deverestare un diritto garantito sempre e ovunque, perché lamaternitàdi ciascuna si costruisce in relazione alla possibilità di scelta, qualunque essa sia. Togliete l’aborto e non avrete solo donne più schiave, disperate, non più realmente in grado di decidere della propria esistenza – può esistere qualcosa di più miserabile? – ma non avrete più neanche le sante. Anche le donne cattoliche o religiose in senso sarebbero più povere e spogliate del loro diritto fondamentale: quello di portare avanti la gravidanza come espressione dei loro sentimenti, della loro volontà, della loro adesione libera alla volontà di Dio. Italia, il Paese senza diritto di abortire né quello di non abortire In questo le donne italiane, Paese cattolico, dove da sempre si svolgono battaglie ideologiche sterili e inutili su un diritto che garantito da unabuona legge è stato svuotato dall’interno dall’obiezione di coscienzadi massa, sono in una ben misera situazione. Perché non hanno spesso né la libertà formale di abortire, costrette come sono aviaggi della speranza in altre regioni, spesso senza che nulla di questo venga tracciato, come ha documentato la bioeticista Chiara Lalli nei libroMai dati(Fandango). Né la libertà sostanziale di non abortire, visto che non c’è alcuna società costruita affinché donne e uomini possano far spazio a uno o più figli, o possano persino permettersi il lusso di accogliere un figlio diverso, quello che magari una parte di loro vorrebbe far nascere ma un’altra parte – quella che vede la fatica impari e immensa, l’abbandono delle istituzioni, le lotte sfiancanti per avere i diritti riconosciuti, la difficoltà di conciliare la cura di un bambino speciale con il lavoro, figuriamoci – porta ragionevolmente a respingere. Tutto questo è unaperdita immensasiaper le donne e gli uomini, impediti nella possibilità di seguire i loro sentimenti, siaper la società.Ma a chi interessa? Ci si straccia le vesti per il calo demografico, si fanno battaglie di retroguardia per cercare di cambiare la legge, si inneggia alla scelta della Corte americana (o peggio, si tace su di essa), senza vedere chele ragioni degli aborti stanno in tutt’altre ragioni. E quando le donne accolgono il loro sentimento, gettano, come si dice, il cuore oltre l’ostacolo vengono ripagate con la moneta più amara: licenziamento,carriere interrotte,sfinimento fisico, rincorsa ai soldi che non bastano mai e infine, ancora peggio, neanche un riconoscimento morale. Quel rispetto totale e profondo che ci vorrebbe ancora prima di tutto il resto per chi mette al mondo figli consentendo alla società di andare avanti e che nel nostro Paese non c’è. Mentre le istituzioni tentano pateticamente dispingere le donne a diventare madricon bonus saltuari o assegni che non coprono neanche una piccola parte delle infinite spese che un figlio porta con sé.