Guida agli impianti italiani che bruciano i rifiuti

Guida agli impianti italiani che bruciano i rifiuti

 

Dopol’annunciomessianico del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che ad aprile ha dichiarato di voler dotare la capitale di untermovalorizzatoreentro il Giubileo 2025, si è riacceso il dibattito sugli impianti e sull’opportunità del loro impiego per lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati. Secondo l’ultimorapportorealizzato dal Centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oggi in Italia sono attivi in tutto37 termovalorizzatori. Il nostro Paese, come si evince dallamappaturaaggiornata al 2019 della Confederazione europea degli impianti di termovalorizzazione (Cewep), è ilquarto in Europaper numero di impianti dopo Francia (124) Germania (100) e Regno Unito (48). Di questi, 13 prevedono il solorecupero energetico elettrico, mentre 24 sono gli impianti con ciclo dicogenerazione, che oltre alla produzione di energia meccanica permettono di generare calore utilizzabile per il riscaldamento degli edifici. Dove sono Il parco impiantistico è concentrato in particolare nelNord Italia, che ospita26impianti contro i 5 operativi al Centro e i 6 al Sud. Tra le regioni a più alta incidenza troviamo laLombardiae l’Emilia Romagna,rispettivamente con 13 e 7 impianti che nel 2020 hanno trattato il 74,5% dei rifiuti inceneriti al Nord. Nel2020è stato incenerito il 18,4% dei rifiuti urbani, corrispondentia 5,3 milioni di tonnellate, con un recupero pari a circa 4,5 milioni di MW/h di energia elettrica e oltre 2,3 milioni di MWh di energia termica. La quota smaltita è ascrivibile per il70,2% al Nord, contro il10% al Centro Italiae il19,8% al Sud,dove il 66% dei rifiuti viene incenerito dall’impianto diAcerra(Napoli). Circa la metà dei rifiuti avviati a incenerimento,2,7 milioni di tonnellate,è costituita dairifiuti urbani, mentre il resto è rappresentato da rifiuti derivanti dal trattamento degli stessi, che includono frazione secca, rifiuti combustibili e bioessiccato. Dai dati analizzati da Ispra emerge come «il ricorso all’incenerimento non costituisca un disincentivo all’aumento della raccolta differenziata», che ha continuato a registrare un incremento nel corso degli anni. Come funzionano Ilciclo di smaltimentodei rifiuti inizia quando questi vengono immessi nell’inceneritore e scaricati nella vasca di raccolta e miscelazione. Quindi vengono caricati nellecaldaie, dove avviene l’ossidazionea una temperatura intorno ai 1.000 °C. Il calore prodotto dalla combustione generavaporead alta pressione, che viene convogliato in un turbogeneratore per la produzione dienergia elettricae, in seguito, utilizzato per scaldare l’acqua che alimenta la rete urbana diteleriscaldamento. Quanto inquinano Come si apprende dalLibro biancosull’incenerimento dei rifiuti urbani realizzato dal Politecnico di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma Tor Vergata, «un impianto di incenerimento ben progettato e correttamente gestito, soprattutto se di recente concezione (dagli anni 2000 in poi), emettequantità relativamente modestedi inquinanti e contribuisce poco alle concentrazioni ambientali». Già nella camera di combustione, infatti, i fumi vengono trattati con ammoniaca per abbattere gli ossidi di azoto. In uscita dal circuito della caldaia vengono depurati dai microinquinanti, quindi passano attraverso filtri a maniche che trattengono le polveri in sospensione prima di essere convogliati nel camino. Questo fa sì che il termovalorizzatore abbia unimpatto ambientale 8 volte inferiore a quello della discaricain termini di emissioni di CO2. Inoltre, nonostante nel periodo dal 2000 al 2018 preso in esame la quantità di rifiuti avviati al recupero energetico sia quasi triplicata, «i valori evidenziano un contributo poco rilevante dell’incenerimento, con incidenze pari ameno dell’1%sia per imacroinquinantiche per i principali inquinanti in traccia e con una visibile tendenza alla riduzione». «Senza alcuna pretesa di generalizzazione dell’assetto nazionale a contesti territoriali e produttivi localizzati in aree ristrette – conclude il rapporto – le stime confermano uncontributo emissivo dell’incenerimento molto limitato, quando non quasi trascurabile, rispetto a quelli del complesso delle altre sorgenti». Il caso Copenaghen Quando si parla di termovalorizzatori, l’esempio più citato è l’impianto diAmager Bakkeinaugurato nel 2017 a Copenaghen. Progettato dall’archistarBjarke Ingels, l’impianto danese noto comeCopenhillè un avveniristico promontorio artificiale dalla sagoma in alluminio che in 41mila mq include un ascensore per leterrazze panoramiche, una caffetteria, unastazione sciisticacon impianto di risalita e, su uno dei lati verticali, quella che con i suoi 85 metri è lapareteda arrampicata più alta al mondo. L’impianto è stato realizzato dalla società intercomunale di gestione rifiuti Amager Resource Center (Arc) con un investimento di oltre600 milionidi euro, ed è in grado di smaltire oltre 500.0000 tonnellate di rifiuti l’anno con unrendimento energeticocomplessivo del107%. È inoltre dotato di unsistemadi pulizia dei fumi tra i più efficaci al mondo, col quale Copenaghen punta adiventare«la prima capitale carbon neutral» entro il 2025. Sebbene Copenhill continui a essere preso a modello dai sostenitori del termovalorizzatore, ultimo Roberto Gualtieri, una narrazionealternativaha puntato il dito sulvolumedei rifiuti importati dalla Danimarca per soddisfare il fabbisogno dell’impianto. Oggi il Paese scandinavo produce ogni anno circa 800 kg di rifiuti pro capite a fronte di una media europea di circa 500 kg, e ilPiano per l’economia circolareapprovato dal governo danese prevede una riduzione della capacità di incenerimento del 30% entro il 2030. Un’evidenza che sembra testimoniare, una volta di più, quanto fare affidamento sul solo termovalorizzatore risulti insufficiente o, nei casi peggiori, controproducente. Come haspiegatobeneEdo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, il ricorso agli impianti di termovalorizzazione deve integrarsi con lepratiche del ricicloproprie dell’economia circolare, in modo da ridurre la frazione indifferenziata e chiudere il ciclo dei rifiuti col minor impatto possibile per l’ambiente.