Siamo davanti a un’emergenza oceanica

Siamo davanti a un’emergenza oceanica

 

Mentre il mondo intero, dagli Stati Uniti al Giappone, passando per l’Europa, fa i conti conondate di calorepreoccupanti e mari sempre più bollenti, aLisbonaleader e scienziati internazionali si sono radunati per laOcean Conference delle Nazioni Unite. Qui, in un discorso iniziale chiarissimo, il segretario generale dell’OnuAntónio Guterresha avvertito il Pianeta di una ormai ben delineata «emergenza oceanica», con glioceanisempre più poveri a causa dellaperdita di biodiversitàe dell’inquinamento antropicoe ha parlato della necessità urgente di«invertire la tendenza»dato che «un oceano sano e produttivo è vitale per il nostro futuro condiviso». Dalla Conferenza ci si attende proprio una dichiarazione condivisa, un impegno per proteggere gli oceani e le loro risorse dai continui sfruttamenti che subiscono. «L’oceano – ha detto Guterres davanti ai leader di oltre 20 nazioni – deve diventare un modello su come possiamo gestire i beni comuni globali per il nostro bene superiore», altrimenti «la nostra incapacità di prenderci cura dell’oceano avràeffetti a catena sull’intera Agenda 2030 dell’Onu», quella degli obiettivi sostenibili da centrare nella lotta all’emergenza climatica e non solo. Per Guterres la dichiarazione finale (“Our Ocean, Our Future: Call for Action”) dovrà tenere conto di quattro fondamentali priorità: investire nelleeconomie e gestioni oceaniche sostenibiliche «potrebbero aiutare l’oceano a produrre fino a sei volte più cibo e generare 40 volte più energia rinnovabile di quella attuale»; ma ancheaumentare le misure di conservazione;proteggere le personeche dipendono dagli oceani attraverso infrastrutture resilienti al clima e infinesostenere la scienzae l’innovazione per «un nuovo capitolo dell’azione oceanica globale». Va sempre ricordato, inoltre, che sono gli oceani del mondo ad aver assorbito quasi il 90% del calore in eccesso intrappolato in atmosfera da quando abbiamo iniziato a estrarre e bruciare icombustibili fossili, per cui se vogliamo salvarci è dalla protezione degli oceani stessi che dobbiamo partire. In attesa della dichiarazione finale, che non sarà vincolante ma assumerà la forma di impegno, al summit portoghese erano presente anche diverse realtà italiane. Fra questel’Università di Siena e Legambienteche in un evento hanno parlato dei risultati raggiunti finora nella tutela dellasalute del Mediterraneocontro i rifiuti marini. Per Maria Cristina Fossi dell’Università di Siena, e partner del progetto COMMON e Plastic Busters, la «crescente urgenza e complessità delle sfide sociali interconnesse, come il marine litter, richiede che vengano affrontate attraverso il rafforzamento dell’interfaccia scienza, politica e società per fornire le condizioni necessarie a tradurre le conoscenze basate sulla ricerca in azioni efficaci. Inoltre, l’impatto dei rifiuti ingeriti dagli organismi marinidovrebbe essere valutato attraverso un monitoraggio integrato, sia sulle specie commerciali che in quelle protette».