ItsArt, bye bye
Troppofacilee spesso ingiustoinfierire sullo sconfittocon il più classico dei “te l’avevo detto”, ma in questo caso èquasi impossibile non cedere alla tentazioneperché la fine poco gloriosa del progetto era molto più che annunciata. Stiamo parlando diItsArt, lapiattaforma webvoluta daDario Franceschiniin veste diministro della Cultura, che come sottolineato dalle sue stesse parole doveva essere la «Netflixdella cultura italiana» e invece si avvia allachiusura a meno di due anni dal lancioperché rivelatasi un flop clamoroso. Online da maggio 2021 mapensataun anno prima,durante le fasi più dure della pandemia, aveva l’intento diaiutare il mondo dello spettacoloin affanno offrendo acinema,museieteatriuno spin off digitale per produrre o veicolare contenuti mentre al pubblico film, spettacoli e concerti on demand di artisti italiani. Come Netflix ma con meno scelta. Una caratteristica che non ha di certo giovato, visto che a oggi gli utenti registrati sono solo circa 140.000 e le entrate pari a 246.000 euro, a fronte però diperdite per 7,5 milioni. Un bagno di sangue che il 29 dicembre 2022 ha indottoCassa Depositi e Prestitiche ne deteneva la maggioranza (Chili invece è il socio di minoranza)a ufficializzarne la messa in liquidazione. Mossa seguita dalla decisione dell’attuale ministro della CulturaGiuliano Sangiulianodinon rifinanziarla. Se oggi a evidenziare le criticità di ItsArt sono soprattutto leforze politiche di governo,indignateper i soldi spesi all’epoca e salite prontamente sul cavallo del vincitore; e isindacati, giustamentepreoccupati per le sorti dei circa 15 lavoratoriimpegnati nel progetto, è indubbio che le avvisaglie di un probabile insuccesso fossero ben visibili a tutti fin dagli esordi. È sufficiente accedere al portale per rendersene conto. Nonostante la grafica tutto sommato moderna e piuttosto simile a una qualunque piattaforma di streaming, la sensazione che si ha fin dal primo momento è ditrovarsi di fronte a una cosa vecchia. Scrollando la home verso il bassopochissime cose hanno attirato la mia attenzione(da utente Millenials, figuratevi le nuove generazioni) e anche quando la discesa si è fatta meno veloce, rallentata da una seppur flebile curiosità verso qualcosa, non è mai arrivata a fermarsi per cliccare davvero su un contenuto. Pochi quelli nella schermata principale e nessuno percepito come novità imperdibile. Ma per non cedere all’impulso di affidarsi alle sensazioni del primo momento, è beneapprofondirela conoscenza con ItsArt. O forse no. Già perché facendolo i dubbi vengono confermati, soprattutto nellasezione cinema che nelle intenzioni doveva essere quella di maggior impatto, in grado di trainare il progetto e portarlo a competere ad armi pari con tutti i grandi colossi dello streaming: Netflix sicuramente ma anchePrime Video,DisneyPlus eApple Tv. Con pochissime esclusive e nemmeno l’ombra di pellicole di grido o novità però l’impresa era piuttosto ardua. La mossa dinon prevedere un abbonamento fissoma di rendere la piattaforma ibrida, riempita in parte con contenuti gratuiti e in parte a pagamento,poteva essere azzeccatama anch’essa ha dovuto fare i conti con la realtà:titoli free di scarso appeale a pagamentoa cifre sicuramente basse (circa 2 o 3 euro di media) madisponibili più o meno ovunque, in alcuni casi gratuitamente e in altri compresi in abbonamenti più cari, ma che garantiscono un’offerta nemmeno paragonabile in termini di qualità e quantità. Si salvano solo, forse, le sezioni dedicate ad arte e musica, che presentano alcune chicche che potrebbero meritare una chance. Troppo pocoperò per attirare le attenzioni del pubblico mainstream, soprattutto giovane, e scongiurare il fallimento di un’idea dalle intenzioni nobili ma dalla realizzazione discutibile. Il siparioquindicala, giustamente verrebbe da dire, e se le colpe raramente sono singole ma più spesso dei progetti nel loro complesso, in questo caso vale la pena ricordare che ItsArt,non è la prima intuizione digitale di Dario Franceschini a concludersi malamente. Come dimenticarsi, infatti, diVerybello.it, il portale concepito nel 2015 come vetrina virtuale dell’Italia nel mondo che avrebbe dovuto attirare milioni di turisti ma che venne chiuso dopo pochi mesi per mancanza di contenuti accattivanti e click? Allora si voleva dare nuovo lustro all’immagine del nostro Paese nel mondo, e anni dopo si è provato a rilanciare lo spettacolo. Senza riuscirci in nessuno dei due casi.