Perché c’è chi dice no ai buoni pasto

Perché c’è chi dice no ai buoni pasto

 

Oggi 15 giugno, va in scena losciopero dei buoni pasto. Così, tagliandi con cui lavoratori e lavoratrici italiani pranzanonon verranno accettatinei bar,ristoranti, alimentari, supermercati e ipermercati come forma di protesta, ricorda Federdistribuzione in una nota. Solo un’azione drastica (e per la quale i consumatori sono stati avvertiti) potrà forse portare «il Governo a unariforma radicale del sistema dei buoni pastocon l’obiettivo di salvaguardare un servizio importante per milioni di lavoratori e renderlo economicamente sostenibile». Il problema infatti, ricorda la federazione, è che «in Italia abbiamocommissioni non eque,le più alte d’Europa. Parliamo del 20% del valore nominale di ogni buono». Di conseguenzaa pagare«sono le aziende». «Vogliamo che i buoni pasto, un servizio prezioso per milioni di lavoratori e famiglie, continuino a essere utilizzati anche in futuro, ma ciò sarà possibile solo sulla base di condizioni economiche ragionevoli e di una riforma radicale dell’attuale sistema che riversa commissioni insostenibili sulle imprese e ne mette a rischio l’equilibrio economico». Meno d’accordo sembrano essere leassociazioni dei consumatori italianicome Adiconsum, Assoutenti e Federconsumatori che, bocciando lo sciopero, sostengono come «ancora una volta i consumatori italiani vengono usati come ostaggi dalle organizzazioni della Gdo e dei ristoratori per rivendicazioni che, seppur giuste nella sostanza, finiscono perdanneggiare solo e unicamente i cittadini». In questo contesto, Altrocosumo avanza dunque una proposta:denaro in busta paga. Secondo l’associazione, in Italia circa 3 milioni di lavoratori e lavoratrici ricevono buoni pasto per un valore di circa 3,2 miliardi, un terzo dei quali è assorbito dalla Pubblica Amministrazione. Trainflazionee contesto economico complesso, i buoni pasto rischiano però di non essere più accettati a causa delle alte commissioni di incasso che devono pagare gli esercenti come bar, ristoranti e supermercati. «Lecommissioniin media, infatti, sono compresetra il 10% e il 20% del valore del buono:per una spesa di 10 euro, l’esercente ne incassa in pratica solo 8», spiega Altroconsumo. Di conseguenza, se gli esercenti smettessero di accettare buoni, verrebbero penalizzati i lavoratori. Per questo l’associazione propone unamodifica legislativa,«per consentire alle aziende italiane di versare il corrispettivo dei buoni pasto direttamente nelle buste paga dei lavoratori, mantenendo per entrambe le parti le agevolazioni fiscali oggi previste per i buoni pasto. Lo Stato, infatti, concede vantaggi fiscali alle aziende che li acquistano, permettendo loro di dedurre l’intero importo dal totale su cui si pagano Ires e Irap, favorendo così anche il reddito disponibile dei dipendenti». Nello specifico, la modifica richiesta «perrendere non tassabili le indennità di mensacorrisposte in busta paga a tutti i lavoratori fino almeno a 8 euro al giorno come gli attuali buoni pasto elettronici o per rendere il meccanismo ancora più vantaggioso, è portare il limite a 10 euro giornalieri. Attualmente, infatti, la non imponibilità della indennità di mensa è riservata solo ad alcune categorie di lavoratori e ha il limite di 5,29 euro al giorno». In questo modo, chiosano da Altroconsumo, si potrebberoottenere vantaggi«innanzituttoper i lavoratori,che potrebbero vedere crescere il denaro disponibile in busta paga senza pagare imposte aggiuntive, ma ancheper i datori di lavoro, che avrebbero benefici fiscali per la deducibilità delle somme erogate ai fini Ires e Irap e amministrativi».