Non scordiamoci degli abissi

Non scordiamoci degli abissi

 

Che c’è laggiù? Chi ci vive e cosa accade nel buio? Come stanno gli abitanti di un mondo che non conosciamo?Domande sulmareche continuano a rimanere irrisolte ma che pian piano stanno trovando, grazie ai nuovi animali “esploratori”, leprime risposte. Dell’oceano conosciamo ancora pochissimo (meno del 20% di quello che c’è nelle sue profondità) e ancor di più degliabissi, per noi meno noti perfino dellospazio. Conoscere (e potenzialmente proteggere) le specie e gliabitanti delle profondità marineè dunque una missione che interessa sempre più scienziati. In occasione dellaGiornata mondiale degli Oceani,che si celebra l’8 giugno e quest’anno è dedicata alla “Rivitalizzazione: un’azione collettiva per l’oceano”, è doveroso gettare uno sguardo anche su tutto ciò che degli oceaninon conosciamoaffatto. Amigliaia di metri sotto la superficiec’è infatti un mondo di specie che sono state in grado di adattarsi, che vivono in zone buie, quasi senza ossigeno e una pressione enorme; una serie di creature meravigliose e per noi decisamente inimmaginabili ma che presto – anche a a causa dellacrisi climaticae gli effetti delle nostre azioni – potrebberoaver bisogno di aiuto. Per comprendere meglio cosa accade laggiù l’esplorazione oceanica sta facendo, oltre ai Rov e i robot che scendono negli abissi, progressi giganteschi e nuove scoperte anche grazie a una serie di alleati inusuali:animali dotati di telecamere e sistemi di registrazione. Sul sitoKnowablealcuni scienziati, come l’ecologo Simon Thorrold dellaWoods Hole Oceanographic Institutionnel Massachusetts, hanno raccontato alcuni dei segreti di queste nuove missioni: per esempio applicare aglisquali balena, i più grandi pesci del mondo,tag satellitarie mini telecamere prima che si immergano a migliaia di metri mostrandoci cose mai viste prima, oppure dotare di nuovi sensori le tartarughe, o ancoral’elefante marinosettentrionale. Oltre la zona crepuscolare c’è davvero un“pianeta”impensabile: ecco che compaionoorganismi bioluminescenti,altri che si sono adattati a evitare la decompressione, altri ancora che hanno sviluppato sistemi di scambio termico per sopravvivere. Sembrano quasi alieni usciti dalla fantascienza. Biologi ed esperti continuano a chiedersi però come mai la vita si sia sviluppata perfino laggiù, incondizioni così sfavorevoli,e perché molte specie si spingono a tali profondità. In molti casi, anche osservando il materiale fornito dagli animali “esploratori”, la risposta è per ilciboe abbiamo prove di predatori che per questo motivo toccano profondità inimmaginabili. La maggior parte predatrai 200 e i 1000 metri, ma diverse altre specie arrivano decisamente più in basso. Altre teorie portano a pensare che quelle zone – a causa di un uomo che in superfice con le sue azioni, dalla sovrapesca agli inquinanti sino airumori, minaccia le specie – si spingano a “vivere” in zone rifugiolontane da noi. Così squali, pesci spada, tonni, tartarughe, balene, focheraggiungono sempre più profonditàa noi poco note: alcune balene del becco di Cuvier arrivano anche a sfiorare i 3000 metri. Fino al diciannovesimo secolo si pensava che sotto i 500 ci fosse pochissima vita, ma le nuove tecnologie nel tempo hanno dimostrato il contrario: c’è unaincredibile biomassa che fa gola a tante altre specie. Gli studi di Thorrold e colleghi, che hanno applicato tag a squali balene ma anche mobule oppure a pesci spada, sono lunghi e complessi (così come è difficilissimo applicare tag satellitari o telecamere su questi animali) ma stanno aiutando acomprendere meglio le dinamiche degli abissi. Per esempio hanno scoperto che leChilean devil ray(Mobula tarapacana) riescono a spingersi a quasi duemila metri di profondità perché attratti dal cibo. Grazie ai sonar, altri esperti si sono invece resi conto che iglobicefalicacciano a mille metri i calamari, oppure di come si comportano glielefanti marini. Le immersioni di questi “esploratori” hanno svelato a noi un mondo, in termini di prede e biomasse, impensabile fino a pochi anni fa per quantità. «Anche con la tecnologia che è disponibile negli ultimi 20 anni c’è ancoratantissimo da scoprire», ha raccontato Thorrold. Allo stesso tempo però gli esperti sono convinti che le fish-cam di nuova generazione, i sistemi bioacustici e satellitari, le micro telecamere da applicare su varie specie e gli impianti dotati di speciali sistemi di illuminazione, progrediranno talmente rapidamente da offrircidue possibilità: una di scoprire davverocosa c’è la sottoe l’altra, se necessario, di fornirci le conoscenze necessarie perproteggere questo tesoroda eventuali altre azioni nocive dell’uomo.