Tre afghane vincono il premio Lantos per i diritti umani
Fawzia Aminivive in una camera d’albergo di Londra da nove mesi con suo marito e le quattro figlie. Sono fuggiti dall’Afghanistan nel 2021: quando i talebani hanno ripreso il potere, entrando aKabulil 15 agosto scorso, la famiglia si è trovata costretta a lasciare casa, abitudini, e terra d’origine. Probabilmente la giudice si trovava lì, in hotel, quando ha saputo di aver vinto ilpremioLantos per i diritti umanidel 2021, un riconoscimento che pone l’attenzione sugli eroi del movimento per i diritti umani premiando quelle figure pubbliche di alto profilo che si battono per la difesa di questi valori. Poi ha preso un aereo per Washington Dc e si è recata alla premiazione, avvenutail 18 maggio. A ritirare lo stesso premio, altredue donnestraordinarie:la prima donna ceo del PaeseRoya Mahboobe la co-fondatrice e capitana dellaprima squadra di calcio femminile afghanaKhalida Popal. Ognuna di loro ha contribuito a promuovere i diritti delle donne e i diritti umani in Afghanistan e anche al di fuori del loro Paese d’origine nei campi del diritto, della tecnologia e dello sport. Simbolo di un impegno costante per l’emancipazione femminile, Amini, Mahboob e Popal hanno ricevuto la stessa onorificenza consegnata in precedenza a personaggi del calibro delDalai Lama, nel 2009, del presidente israelianoShimon Peres, della “madre” degliuiguriRebiya Kadeer, diPaulRusesabagina, l’eroe del celebre film sul genocidio contro la minoranza tutsi “HotelRwanda”, e dell’attivista per i diritti umani diHong Kong, il venticinquenneJoshua Wong, nel 2018. Fawzia Amini è statauna delle principali donne giudici dell’Afghanistan, è stata a capo del dipartimento legale del Ministero degli affari femminili (soppressode factoad agosto 2021), giudice senior della Corte Suprema e capo del tribunalecontro la violenza sulle donne. Quando i talebani hanno preso il potere hanno svuotato le carceri di molti deiviolenti criminali condannatida Amini. Individui che, una volta assaporata la libertà, hanno subito iniziato a minacciare la sua vita. Dalla sua camera di Londra, Amini sta tentando di portare in salvo – a distanza – 93 giudici donne e le loro famiglie a rischio in Afghanistan. Cifra che, dalla sua partenza, non è ancora diminuita. Aminiinsegna segretamentealle donne afghanesu Zoomquali siano i loro i diritti fondamentali, che sono sempre più disattesi dai talebani che hanno rinnegato la promessa di consentire alle ragazze di frequentare le scuole secondarie, oltre ad averlimitato la libertà femminile di spostarsi fuori casa: possono farlo solo secoperte dalla testa ai piedi. Di recente hanno obbligato con un decreto lepresentatrici televisivee coprire il viso durante la diretta. Amini e la sua famiglia non sono gli unici afghani a risiedere nell’albergo nel cuore di Londra: altri 100, come loro, non hanno idea di quando verranno trasferiti in una casa permanente, come promesso dal ministero dell’Interno. Alcune fonti governative hanno rivelato alGuardianche tale condizione riguarda12.000 afghani nel Regno Unito: le autorità assicurano che stanno lavorando sempre più velocemente per distribuirli al meglio in alloggi permanenti. A differenza di Amini,Mahboob e Popalhanno lasciato l’Afghanistandiversi anni fa e vivono rispettivamente a New York e a Farum, in Danimarca. Alla cerimonia, la co-fondatrice ed ex capitana della nazionale afgana di calcio femminile Khalida Popal si è dettapreoccupata per l’incolumità delle sue «sorelle afghane, che non hanno protezione. Quando ho iniziato a incoraggiare le ragazze a praticare sport, ad alzare la voce e a opporsi all’ideologia dei talebani, non sapevo che presto lo spettacolo sarebbe finito». I talebani, secondo Popal, non potranno mai cambiare. La terza vincitrice, la prima amministratrice delegata del Paese e co-fondatrice dell’Afghan Girls Robotics TeamRoya Mahboob, si è lamentata del fatto che gran parte del talento afghano è stato costretto a fuggire dopo il ritorno dei talebani: «Attivisti per i diritti umani e per i diritti delle donne, giudici, intellettuali, educatori e altri che hanno nutrito le più alte speranze per la loro nazione. Sono l’anima stessa dell’Afghanistan eora sono in esilio». Ma, ha concluso Mahboob, «nemmeno il crollo di una nazione e l’evacuazione di massa della popolazione possono fermare una ragazza istruita».