Le “finte” femministe in Turchia
Negli ultimi tre anniAnna Ehrhartha studiato le organizzazioni femminili controllate dal governo in Turchia che minacciano i gruppi femministi del Paese. Il presidenteRecep TayyipErdoğanavrebbe una strategia, che porta avanti dall’inizio della sua presidenza, nel 2014: finanziare le cosiddette “donne Gongo” per imitare e indebolire chi lotta davvero per i diritti delle donne turche. La ricerca che lo dimostra, pubblicata sul sito di discussione politica internazionale e culturaleopenDemocracy, si basa su interviste e incontri con più di 20 organizzazioni femministe in tutta la Turchia. Che cosa vuol dire “Gongo”? Si tratta delleOrganizzazioni Non Governative sponsorizzate dal Governo. In Turchia si tratta diKademe dell’Associazione Hazar,istituite a partire dal 2013, quando Erdoğan era ancora (solo) primo ministro. La vicepresidente di Kadem, l’Associazione Donne e Democrazia, è la figlia del presidente,Sümeyye Erdoğan: sulla carta vuole garantire i diritti delle donne all’interno della famiglia e della società. Questacentralità della famigliarifiuta, secondo Ehrhart, l’uguaglianza tra uomini e donne. Insomma, questi gruppi sono solo all’apparenza difensori dell’emancipazione femminile. Quello delle Gongo è un fenomeno sempre più comune, diffuso soprattutto neiregimi autoritarie soprattutto in quelliibridi, che l’organizzazione indipendente e senza scopo di lucroEuropeanCenter for Populism Studiesdefinisce come quelle nazioni con “regolari brogli elettorali, che impediscono loro di essere una democrazia equa e libera”. Nel 2021 il settimanale d’informazione politico-economicaEconomistha classificato 167 Paesi sulla base di cinque valori: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili. La Turchia è stata inseritatra i 34 regimi ibridipresenti al mondo, che riguardano il 17,2% della popolazione totale. Nella categoria troviamo anche Messico, Pakistan, Ucraina, Bolivia e Marocco. Ehrhart spiega che si tratta diPaesiche confondono i confini tra le entità controllate dallo Stato e la società civile, e questo colpisce in particolare la fetta femminile della popolazione: “Tali regimistrumentalizzano i diritti delle donneper i loro scopi e le donne Gongo sono uno dei principali meccanismi che utilizzano per garantire legittimità e controllo interni ed esterni”, scrive la ricercatrice. Lo scopo principale di questi gruppi sarebbe quello di rafforzare gli interessi e i discorsiconservatori, antifemministi eislamiciall’interno della società civile e legittimare, così, la comprensione patriarcale del ruolo delle donne. E, a poco a poco, le voci femministe indipendenti turche sono state sempre più allontanate dal dibattito pubblico e la loro capacità di intervento e di promozione dell’uguaglianza di genereè stata gravemente limitata. Alcuni gruppi, soprattutto nelle regioni curde in Turchia orientale, sono stati chiusi definitivamente. Anche i fondi pubblici a loro destinati sono stati rilevati dalle organizzazioni delledonne Gongo. E quelli internazionali temono lalegge del 2020che permette al Ministero dell’Interno di ispezionare annualmente e sospendere qualsiasi attività delle Ong indagate per reati legati alterrorismo, comprese le fondazioni straniere: i tribunali turchi usano con molta leggerezza queste accuse di terrorismoper reprimere il dissenso. I gruppi femministi, nel tempo, hanno dovuto cambiare le proprie strategie di mobilitazione e diadvocacy, spostando l’attenzione sutemi meno politicamente sensibili, ed essere così meno apertamente femministi, presentandosi come una semplice organizzazione della società civile. Nonostante tutto, Ehrhart pensa che ci sia ancora speranza: ad aprile il Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Turchia, ha dichiaratoillegaleil tentativo di ritiro del Paese dallaConvenzione di Istanbul, il trattato sulla prevenzione della violenza contro le donne. Un segnale importante che non fa altro che dare più energia alle ong femministe, che continuano a ritagliarsi uno spazio per lottare. Anche in un ambiente sempre più ostile.