Alienazione parentale: cos’è?

 

Fino a qualche tempo fa era nota comePAS,dall’ingleseParental Alienation Syindrome, la sindrome da alienazione parentale o genitoriale. Veniva definito così il rifiuto da parte deə figliə di vedere un genitore dopo una separazione conflittuale. Di fatto è unallontanamentodalla madre o dal padrealienato, che spesso inizia col diradarsi progressivo delle visite, per motivi anche banali (malesseri, impegni, ecc.), ma che può arrivare fino alla paura degli incontri e alla loro sospensione. Da anni il tema tiene banco, specie nelle aule deitribunalidove si decidono gli affidi dei minori: molti i casi di cronaca nei quali i bambini sono stati allontanati da un genitore ritenutoalienante, anche col ricorso alle forze dell’ordine. Oggisi parla più spesso di“alienazione” (e non più di sindrome) o di “plagio del minore”. Ma il vero problema rimangono le conseguenze sia per il genitore che è vittima, sia soprattutto per i minori, la cui tutela dovrebbe essere al centro degli interessi in caso di separazioni e divorzi. Cos’è l’alienazione parentale Il primo a parlare di PAS è stato il medico statunitenseRichard Gardner,ma oggi la comunità internazionale è concorde nelnon ritenere più l’alienazione una “sindrome”.L’Organizzazione Mondiale della Sanità non la considera tale, nonostante numerose sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo e diverse cause di separazione e divorzio facciano esplicito riferimento all’alienazione. «La PAS non esiste in quanto tale, perché non è una sindrome, ma esiste l’alienazione parentale. È documentata da studi pubblicati su riviste scientifiche sottoposte a revisione critica e dall’inizio del 2022 se ne contano già una decina. Manon è una patologiae non riguarda il solo bambino: è unadisfunzione nella relazione all’interno della famiglia» spiega Matteo Bernini, medico e direttore scientifico dell’Associazione Mantenimento Diretto. Gli effetti dell’alienazione sui figli Sulla questione è intervenuto tempo fa anche il ministro della SaluteRoberto Speranza. Nel rispondere a un’interrogazione parlamentare della senatriceValeria Valente, presidente della Commissione del Senato sulle violenze di genere e il femminicidio, Speranza ha affermato che «tale sindrome, non è a oggi riconosciuta come disturbo psicopatologico dalla grande maggioranza della Comunità scientifica e legale internazionale, e anche negli Stati Uniti è soggetta ad amplissime discussioni». Ciononostante, il Ministro ha riconosciuto gli effetti che questi comportamenti alienanti hanno sui minori: «Gli studiosi che hanno approfondito tale tematica hanno introdotto correttivi e spunti di riflessione, anche critici – ha affermato -L’alienazione può esserel’esito finale di processi relazionali sempre più negativi». «Lo cataloga così anche l’DSM, ilmanuale diagnostico delle patologie psichiatriche, che lo considera una forma di disfunzione delle relazioni endofamiliari, cioè all’interno del nucleo familiare – aggiunge Bernini – Ciò che non va dimenticato è che rappresenta un gravissimo rischio per la salute del bambino perché è unaforma di abuso e violenza psicologica». Cosa succede se si riconosce l’alienazione «Il concetto di PAS è superato: da tempo non sembra opportuno attribuire a un minore un disturbo individuale quando invece riguarda le relazioni familiari. Per questo noi specialisti abbiamo sempre preferito parlare di“plagio del minore” piuttosto che di PAS.Va da sé che, se il disturbo riguarda tutta la famiglia, la cura e la soluzione del problema deve riguardare tutti i componenti e non solo il minore o il genitore alienante» chiarisceCarlo Trionfi,direttore scientifico delCentro Studi Famiglia, che si occupa di mediazione familiare. La conseguenza del riconoscimento della PAS o dell’alienazione, infatti,ha portato in passato a revoche dell’affido, a sanzioni economiche, ma soprattutto aallontanare – anche con la forza – il minore dal padre o dalla madre ritenutialienanti. Uno dei casi più noti è avvenuto aPadovanel 2012 quando un bimbo fu trascinato da agenti di polizia fuori da scuola e portato in una casa-famiglia, prima di essere riaffidarlo alla madre quando la Cassazione stabilì che non si trattava di PAS. A far discutere, più di recente, è stata lavicenda di Laura Massaro. Laura Massaro e la sentenza della Cassazione Laura Massaro è una madre di 38 anni alla quale era stato tolto il figlio, che oggi ha 11 anni, dopo diverse denunce di violenza presentate dal padre in seguito alla separazione dei due. Dopoun lungo iter giudiziario, però, la donna ha ottenuto ragione. «LaCassazionecon lasentenza n. 9691 del 24 marzo 2022ha finalmentecensuratola cosiddettaSindrome da alienazione parentale, definendola un “costrutto ascientifico”. Ciò significa che le consulenze tecniche in materia di affidamento dei minori non potranno più avere come fondamento il mero richiamo a questa “sindrome”, ma andranno motivate e circostanziate» spiega l’avvocataClaudia Rabellino Becce. «Le sentenze di allontanamento dei minori si basano spesso sulla presunzione che il comportamento della madre è causa della paura dei figli nei confronti del padre: questo viene visto comeuna reazione a un comportamento materno, senza ulteriori indagini sull’eventuale responsabilità paterna» prosegue Rabellino Becce, che ricorda come la PAS «incide direttamente sui rapporti familiari, facendo retrocedere ilcriterio guida dell’interesse superiore del minorealla bigenitorialità». Cosa c’entra la bigenitorialità Il problema del riconoscimento di alienazione o plagio è strettamente connesso, infatti, allabigenitorialità. Questa è prevista dallalegge sull’affido condiviso (n. 54/2006), che stabilisce «il diritto del minore di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori», anche in caso di separazione o divorzio. LaCorte europea per i diritti dell’uomo, però, è intervenuta più volte (nel 2010, 2013, 2016 e 2018) richiamando l’Italia per non aver predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a garantire questo principio. I minori vittime di alienazione parentale nei fatti non vedono rispettato il diritto a vedere e frequentare entrambi i genitori per due motivi: sia perchésono di fatto allontanatida uno dei due, sia perché a volte capita chesiano affidati a comunità o case-famigliaper un certo periodo, che dovrebbe servire per “disintossicarli” dall’influenza del genitorealienante. La vittimizzazione secondaria C’è poi un ultimo aspetto, che riguarda da vicino ledonne: le statistiche dicono che sono più spessoaccusate di mettere in atto comportamentialienantinei confronti degli ex coniugi. Si tratta della“vittimizzazione secondaria”: «È quella subita da donne e bambini che magistrati civili e minorili, consulenti tecnici d’ufficio, assistenti sociali e psicologi non vedono o confondono con il conflitto familiare» spiega la senatrice Valeria Valente. «È quella che si nasconde dietro l’idea cheun uomo violentocontro la sua compagna e madre dei suoi figli possa esserecomunque un buon padre. È quella cancellata dalla bigenitorialità interpretata comeun diritto del padre e non del minore, e dunque imposta anche quando il bambino o la bambina di quel padre violento hanno paura e non vogliono più frequentarlo. È quella che trasforma una donna vittima di violenza in unamadre istrionica, ostativa, e soprattutto colpevole:colpevole di alienare i figli dal padre». La violenza occulta La stessa Commissione parlamentare di inchiesta sul Femminicidio ha appenapubblicato un reportdal quale emerge che «nel 34,7% delle separazioni presso il Tribunale civile si è in presenza di violenza documentata con referti medici, denunce, verbali delle forze dell’ordine, relazioni dei centri antiviolenza. Nell’86,9% dei casi la violenza in questi procedimentivede come vittime le donne. Eppure – e qui veniamo alla vittimizzazione secondaria – questi documenti allegati non sono approfonditi: nel96% dei casi gli attidei paralleli procedimenti penali o di quelli presso i tribunali per i minorenninon sono acquisiti d’ufficio dai magistrati» spiega Valente. «Il problema di fondo è quello delle difficoltà che le donne incontrano quando chiedono giustizia.Esiste ungap giudiziario: spesso la magistratura italiana nelle sue decisioni esprime pregiudizi e stereotipi che sono sintomo digender biasradicati. C’è bisogno di formazione specifica per tutti gli operatori del diritto su questi temi» conclude Rabellino Becce.