Torna il burqa in Afghanistan, ma si protesta solo a Kabul

 

Se lo scorso agosto, quandoKabulè stata occupata e l’Afghanistanconquistato, italebaniavevano promesso il rispetto deidiritti delle donne, nove mesi dopo possiamo tirare le somme e concludere che no: le afghane non sono libere. Il 10 maggio, circa dodicidonnesono scese per le strade di Kabul al grido di «Ilburqanon è il nostro hijab», per protestare contro l’obbligo di velarsi completamente. «Vogliamo vivere come esseri umani, come creature nobili, non come animali tenuti prigionieri in un angolo della casa, mentre i nostri mariti vanno a pregare per il cibo», hadichiaratoSaira Sama Alimyar,una delle manifestanti. Il piccolo corteo è stato bloccato dai soldati talebani dopo circa200 metri. Il 7 maggio è stato imposto alle donne del Paese l’obbligo di indossareil burqa in pubblico, costringendole d’ora in avanti a velarsi per intero dalla testa ai piedi. In caso di trasgressione, sono i lorotutori maschia subire le conseguenze (con lapossibilità diincarcerazionefino a tre giorni). «Per tutte le donne afghane dignitose, indossare il velo ènecessarioe il miglior velo è il chadori (burqa) – haspiegatoin una dichiarazione Shir Mohammad, funzionario delMinistero della virtù e della prevenzione del vizio- Le donne che non sono troppo anziane o giovani devono coprire i proprio volti tranne gli occhi». Il decreto, inoltre, prevede che le donne evitino il più possibile diuscire di casaqualora non abbiano un lavoro “importante”: «Iprincipi islamicie la sua ideologia per noi sono più importanti di qualsiasi altra cosa», ha detto Khalid Hanafi, ministro a interim del Ministero virtù e vizi. In questi nove mesi i diritti delle donne sono statilimitatinell’abbigliamento, nell’istruzione, nello sport e nella libertà di movimento. L’8 settembre i talebani hanno vietato alle donne dipraticare sport,per evitare che corpi e volti risultassero scoperti e loro stesse esposte a eventuali immagini da parte dei media. A novembre è stata vietata lamessa in onda di programmi tvcon donne, mentre allegiornaliste televisiveè stato imposto l’obbligo di indossare il velo. Sempre per evitare l’eccessiva esposizione, a dicembre sono staterimosse le immaginidei volti delle donne dai cartelloni pubblicitari e dalle vetrine dei negozi di Kabul. In quello stesso mese, è stato anche vietato loro di percorrere più di 72 km di strada se nonaccompagnate da un uomo.Questo divieto è stato poi esteso anche ai voli aerei. C’è poi la questioneistruzione. A marzo i talebani hanno posticipato la riapertura dellescuole secondarie femminili«fino a nuovo avviso, quando verrà sviluppato un piano in conformità con la Sharia e la cultura afghana». A febbraio, alcuneuniversitàhanno riaperto e alle studentesse è stato concesso di frequentare le lezioni, a patto che si svolgano inclassi separaterispetto a quelle maschili. Queste limitazioni si sono riversate anche nelmondo lavorativodove le donne sono state quasi del tutto estromesse, sempre in virtù dell’interpretazione della legge islamica. Tuttavia, come riporta ilGuardian,in alcuniospedali femminilidi Kabul ci sono ancora dottoresse e infermiere: «Anche i talebani sanno che hanno bisogno di noi», ha detto al quotidiano britannico Jagona Faizli, ginecologa in un ospedale di maternità. Dal G7 è arrivata una condanna, solo due giorni fa, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri. “Con queste misure, i Talebani si stannoulteriormente isolandodalla comunità internazionale“, ha dichiaratoJosep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Educazione, lavoro, abbigliamento: quale sarà ilprossimo passo?

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