“Stracci”: un documentario sul riciclo della moda

 

Una distesa enorme di vestiti in fiamme, vista dall’alto, è avvolta da una coltre di fumo. «Di quello che indossiamo non sappiamo niente», dice una voce femminile. È così che si apre il documentarioStracci, diretto daTommaso Santie scritto insieme aSilvia Gambi: il riciclo degli abiti usati che parte dal distretto tessile diPratoe fa il giro del mondo accompagna lo spettatore in un viaggio all’insegna dellasostenibilità,passando per ilGhana e il Pakistane poi tornando a casa. Da pochi giorni è possibile assistere a questo viaggio sulla piattaforma Amazon Prime Video, non solo in Italia ma in oltre 50 Paesi del mondo, tra cui Stati Uniti, Canada e Australia. Realizzato dalla società di produzione cinematografica Kovelab, è in collaborazione conSolo Moda Sostenibile, il podcast della giornalistaSilvia Gambiche spiega il dietro le quinte di uno dei settori più inquinanti del Pianeta e ripercorrela storia di quello che indossiamo. Perché si intitola così? Perchéa Prato, in Toscana- e in molte altre realtà italiane –gli abiti usati si chiamano “stracci”. Il documentario parte proprio da questa definizione e racconta un’esperienza dieconomia circolare straordinaria, quella delriciclo della lanaa opera delle industrie tessili di Prato, il distretto tessile più grande d’Europa. I protagonisti del documentario sono, appunto,gli abiti di lana usata, al centro di una tradizione di riciclo e rigenerazione che nel tempo ha permesso acentinaia di aziendedel territorio di creare ricchezzaa partire da ciò che gli altri gettavano via. Quello che spiega la voce narrante è vero: non conosciamo l’origine dei nostri abiti, né dove vanno a finire una volta che ce ne liberiamo.Ogni anno vengono bruciati “60 miliardi di kg di rifiuti tessili”, che siano vestiti vecchi, usurati e buttati o semplicemente indumenti invenduti e “originati da un modello produttivo che fa delconsumo eccessivoe dellasovrapproduzionei suoi punti di forza”, spiega il documentario. Da più di un secolo l’industria tessile li raccoglie e li trasforma in materia prima:la lana rigenerata, la lana meccanica, su cui “si basa la forza di un intero distretto industriale che ha costruito un’enorme ricchezza sull’economia circolare quando ancora nessuno sapeva che cosa fosse”. Il primo a parlare della tradizione familiare che lo ha formato èRiccardo Matteini BrescidelGruppo Colle;poi c’è ilcenciaiolo- l’operaio addetto, cioè, alla cernita degli stracci -Siro Puggelli, che con il collegaGiovanni Masigià nel 2007 e nel 2008 parlava della “sete di stracci” di Prato, che ne voleva sempre di più. «Siamo gente che si ricicla da tanto tempo», dice l’imprenditrice tessileDaniela Gori. Le voci che si alternano sono molte di più, e vengono da chi, di stracci, ne ha visti tantissimi a Prato. Tra le testimonianze, anche quella dellaEllen MacArthur Foundation, uno dei più grandienti beneficioperanti nel settore dell’Economia Circolaree della sostenibilità, nato nel 2010 a Chicago. «Nel mondo meno dell’1% del materiale per indumenti viene riciclato per nuovi vestiti», spiegano. Juliet Lennon,programmemanager della fondazione, dice che «produciamo sempre più vestiti e li usiamo sempre meno». Ed è proprio questo il problema dell’industria delfast fashion:il sistema tossico di sovrapproduzione innescato negli anni ‘80 ed esploso negli anni 2000 quando, come scrive l’associazione senza scopo di lucroDress The Change, “le aziende di moda iniziarono a produrreun numero sempre maggiore di collezioni l’annoa costi stracciati, passando dalla realizzazione di2 collezioni l’anno a ben 52”. Il viaggio del documentario passa anche, attraverso la testimonianza di Liz Ricketts, co-founder dell’ente di beneficenza che opera dal 2009The OR Foundation,si arrivain Ghana, ad Accra: è quila discarica più grande dell’Africa, il luogo in cui confluiscono quantitàinimmaginabilidi vestiti ogni minuto. “La consapevolezza è alla base del cambiamento di unostile di vita insostenibile”, dice la voce narrante. E questo deve partire da ogni individuo, che nel suo piccolo può e deve fare scelte responsabili. Ma è anche la moda a dover fare un grande passo:utilizzare materiale non solo riciclato, ma anche riciclabile. Bisogna imparare da chi, gli stracci, li tratta da una vita.