Al ristorante lo stress è servito
Che il lavoro potesse influenzare il benessere fisico e mentale della personalo si era immaginato già a metà del secolo scorso, quando furono condottele prime ricerchein ambito di psicologia e salute occupazionale, anticipando la necessità di indagare l’impatto che turni, orari, ambienti e condizioni lavorative possono avere sul corpo e sulla mente di chi lavora. Da allora, sistemi e processi organizzativi sono cambiati, e vissuti e percezioni di stress lavorativo sono stati indagati in sempre più ambiti e settori. Incluso quello della ristorazione. In tal senso, la fotografia più recente di quanto emerge nel nostro Paese arriva daunostudiocondotto da Ambasciatori del Gusto e l’Ordine degli Psicologi del Lazioche prima e durante la pandemia ha coinvolto un campione diristoratori, chef, cuochi e personale di sala. I risultati della ricerca parlano chiaro:stress, pressione e fatica sono clienti abituali e ospiti indesiderati delle cucine e sale italiane. Tra i fattori di preoccupazione e criticità principalmente percepiti dagli addetti ai lavori vi sono unoscarso equilibrio tra vita lavorativa e vita privata(56%),orari incomodi(55%) eelevati carichi di lavoro(54%). Inoltre,si registrano sintomi psico-fisiciquali alterazione del sonno e della pressione sanguigna, problemi alimentari, ansia, irritabilità e tristezza generale. In psicologia del lavoro, i fattori sopra citati costituiscono alcune tra le variabili alla base dellostress lavoro-correlato,una condizione legata all’attività lavorativa associabile a disfunzioni di natura fisica, psicologica e socialee derivante da uno squilibrio tra le richieste dell’ambiente di lavoro e le capacità del lavoratore di affrontarle. A livello organizzativo, alti livelli di stress possono sfociare incali di performance, allontanamenti e licenziamenti volontari,con il rischio di lasciare i ristoratori – già provati dalla pandemia – a corto di personale. A confermarlo è lo stesso report italiano in cui si evince cheil turnover dei dipendenti è considerato la prima criticità nel settore(80%). Un andamento simile si registra anche negliStati Uniti, Paese in cui ilfenomeno dellaGreat Resignationha interessato in larga misura bar, hotel e ristoranti. Secondo quanto riportato suThe Economistsono infatti1,3 milioni (su 16,9)i lavoratori del settore della ristorazione e dell’hotellerie ad aver lasciato volontariamente il proprio impiegoa seguito della pandemia, con un tasso di abbandono aumentato del 18,5%, raggiungendo 6,4 punti percentuali. Anche a causa dell’emergenza sanitaria, infatti, l’insorgenza di stress lavoro-correlato o di specifiche sindromi occupazionali come ilburnoutsi rivelano condizioni comuni e ormaiconsolidatein molti settori. Il rischio è che gli effetti negativi che ne derivano non si manifestino solo nelle persone interessate masi generalizzino alle prestazioni e ai risultati dell’intera organizzazione. Il mondo del lavoro infatti è sempre più dinamico e connesso: all’interno di questo paradigma,l’interdipendenza tra le persone è un elemento cruciale. Oggi più che mai si tende a lavorare inteam, squadre e brigate in cui il contributo di ogni persona diventa essenziale per il successo generale e perciò, le conseguenze di stress e malessere organizzativo coinvolgono inevitabilmente colleghi e utenza, provocando ripercussioni a livello personale, economico e sociale. Anche alla luce di ciò, diventa sempre più necessariopromuovereall’interno delle aziende dell’hospitality e delle organizzazioni tutte, iniziative sistematiche e capillari in cui laprevenzione e il supporto psicologico siano considerate strategie funzionali per stare bene e lavorare meglio. Accanto a queste, interventi attivi su processi, comunicazione, clima e sistemi organizzativi, così da trasformare la cultura del rischio in cultura del benessere e far sì cheil lavoro permetta a ogni persona di “accendersi”, non di bruciare. *Palma Scarano è Well-being & Operations Assistant diMindwork,servizio di consulenza psicologica per le aziende