Stefania N’Kombo: “La speranza è una forma di lotta”
Stefania N’Kombonon ha dubbi. Se dovesse individuare un momento decisivo nella sua vita, non potrebbe racchiudersi in un singolo istante. Classe ‘96, nasce a Narni da genitori angolanie si trasferisce per gli studi universitaria Roma. Durante latriennale in Filosofia, frequenta per i crediti formativi un laboratorio teatrale sulla drammaturgia antica: non si aspetta che le piaccia, e scopre che è anche molto portata. Il regista dello spettacolo le propone di partecipare a un altroprogetto teatrale, con un gruppo di detenuti presso la Terza Casa Circondariale e il G9 di Rebibbia. Si apre per lei un periodo intenso, scandito dai tragitti in metro fino alla fermata di Rebibbia e dai controlli all’entrata del carcere, fatto di lunghi pomeriggi sottratti allo studio e alle amicizie,di sbarre e di persone. Nelle ore e nei mesi di prove,tra le battute dell’Antigonedi Sofocle e deLa Tempestadi Shakespeare, nella piccola cappella in cui si riuniscono due volte a settimana, allaccia un rapporto umano con i detenuti. Un’esperienza che la scuote profondamente, facendole toccare con manole possibili conseguenze delle differenze socialie l’importanza dello studio per non cadere in meccanismi che possono condurre alla delinquenza. La seconda svolta arriva durante illockdown. Nei 2 mesi in cui il Paese rimane blindato, Stefania trascorre molto tempo con le sue coinquiline.Tra loro c’è una ragazza nera, come lei.Durante quel periodo di convivenza e di confronto, si rende davvero conto, forse per la prima volta,di essere una persona razzializzata. Si avvicina sempre di più alle tematiche legate alfemminismo intersezionale e alla questione razzialee intensifica la militanza e l’attivismo nelle associazioni studentesche. Pian piano, alle chiacchiere e ai dibattiti con gli amici si aggiunge qualcos’altro. Comincia aesporsi sui propri profili social, a scrivere online ciò che pensa, sperimentando unnuovo tipo di attivismo, che valica le pareti delle aulette anguste dell’università: sulla bio di Instagram si definisce“femminista polemica e nera”. Le cose che ha da dire sono molte, riguardano la narrazione mediatica, le serie tv, le antologie scolastiche e in generale i retaggi discriminanti del linguaggio della comunicazione. Per il futuro, spera di mettere a frutto gli studi e le letture fatti, dicontinuare a fare politica a partire dal bassoe soprattutto di riuscire a imprimere, assieme ad altrə un cambiamento, perché“la lotta paga sempre e la speranza è una forma di lotta”.