Ecco perché piove sempre in Inghilterra

 

Poteva succedere solo lì. Si è chiuso con successo nei giorni scorsi in Gran Bretagna unprogetto dicitizen sciencetra i più vasti, curiosi e, indubbiamente, piùbritish– di sempre. Percitizen sciencesi intende la pratica dicoinvolgere in uno studio scientifico comuni cittadiniche, volontariamente, donano il loro tempo per collaborare a raccolte dati, censimenti, monitoraggi sul territorio. Argomento del progetto inglese?La pioggia, naturalmente, la più inglese delle ossessioni e, da sempre, primo tema cui si ricorre Oltremanica per rompere il ghiaccio. Un sondaggio effettuato nel 2010 dall’antropologa Kate Fox – sì, c’è chi ha studiato anche questo – sosteneva cheil 94% deiBrits“avrebbe conversato a proposito del tempo atmosferico almeno una volta nelle ultime 6 ore”. Il 38% nell’ultima ora. La studiosa concludeva che “in questo momento un terzo della nostra popolazione sta parlando di pioggia, nebbia e schiarite”. Al tema dedicò un’inchiesta nel 2015 laBbc, concludendo che i britannici “pensano sempre a quello”per cause geografico-climatologiche,antropologichee ancheculturali: nel Paese con cento modi per dire “pioggia” è un obbligo approcciarsi a sconosciuti con un argomento “neutro”. Cerano solidi basi, insomma, dietro il progetto lanciatoa inizio 2020 dall’Università di Reading: creare una comunità di collaboratori on line pertrascrivere e digitalizzare 130 anni di dati scritti a mano sulle precipitazioni in Gran Bretagna e Irlandae sparsi in decine di archivi e biblioteche. Erano i giorni del primo lockdown, il più duro e angoscioso. La genialata era non solo di poter riordinare dati fino ad allora dispersi e ingestibili, ma anche di usare in modo fruttuoso il tempo degli inglesi isolati a casa. Quasi tutti con un pc e una connessione.Risposero in oltre 16.000. Ad ognuno arrivò, in forma di foto digitale, una parte dei manoscritti fitti di cifre e annotazioni. In due settimane sono state poitrascritte e digitalizzate circa 66.000 schede cartacee, 5.200.000 “annotazioni” sul tempo. Otto volontari esperti (poi citati tra i coautori dello studio) le hanno messe in ordine cronologico e per zona. E il tutto è tornato agli studiosi, che hanno accorpato i dati antichi a quelli più recenti e già digitalizzati. Il risultato sonoquasi 200 anni di dettagliatissime rilevazioni pluviometriche.A partire dal 1836 (l’anno dopo Vittoria saliva sul trono), ma tra i documenti c’erano dati raccolti anche uno o due secoli prima. Anche perché da queste parti pare che la pioggia si studi da sempre. Ogni villaggio, spesso ogni fattoria aveva il suopluviometro(un raccoglitore dell’acqua piovana graduato), da metà Ottocento unaBritish rainfall organizationcoordinava il lavoro di “osservatori della pioggia”. E una taleLady Bayningraccolse dati sui temporali ininterrottamente tra il 1835 e il 1887, ed era famosa per portarsi il pluviometro dietro anche se andava a Londra per un evento sociale. Lo studio è uscito il25 marzo, a due anni esatti dal lancio dell’operazioneRainfall rescue, sulGeoscence Data Journal. Cosa ha concluso? Cheil 1855 fu uno tra gli anni più “asciutti” di sempre, che la fine del 1852 fu incredibilmente piovosa. Grazie a questi dati, poi, come ha spiegato il professor e Hawkins, a capo del progetto,sarà possibile valutare con una nuova precisione la curva delle precipitazioni sul lungo termine, si otterranno modelli più accurati per prevedere gli eventi estremi. Ma l’aspetto più importante è stato aiutare i climatologi in quello che è il loro maggior dilemma: come distinguere i cambiamenti meteorologici ciclici da quelli “innaturali”, provocati dall’uomo? Si parla insomma del classico titolo giornalistico sull’“anno più caldo di sempre”, doveil termine “sempre” indica in realtà la data delle più antiche rilevazioni.Ecco, estendere nel passato questo termine è un aiuto enorme per capire l’evoluzione dell’atmosfera e quello che ci aspetta domani.