Il 2021 è stato l’anno nero dei diritti secondo Amnesty

 

C’era la speranza che la pandemia avrebbe spinto i Paesi a collaborare, ad aiutare le popolazioni in difficoltà, a superare gli screzi e unirsi in un’unica lotta contro il virus. Eppure, leggendo ilnuovo rapporto annuale di Amnesty International Italia, è evidente che le cose non sono andate esattamente così. Nelle154 schedecorrispondenti ognuna a un Paese diverso, l’organizzazione che si occupa di diritti umani segnala norme che hanno pesantemente limitato la libertà di espressione, l’uso eccessivo della forza per reprimere manifestazioni e proteste, la violazione dei diritti umani in troppe circostanze, dall’Egitto alla Libia, dal Myanmar al Tigray. Oltre alla drammatica situazione in Ucraina, dove ormai la guerra è la quotidianità da più di un mese. Tutte queste situazioni sono denunciate, nero su bianco, nelRapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo, che contienecinque panoramiche regionali e un’introduzionedella Segretaria generale di Amnesty InternationalAgnès Callamard. È inevitabile parlare dipandemia. Secondo Callamard, «Le disuguaglianze sistemiche sono state ulteriormente consolidate, non sistematicamente ridotte. I flussi di servizi sanitari e forniture mediche attraverso i confini, che avrebbero potuto ampliare l’accesso alle cure, spesso non sono riusciti a passare». Molti governi hanno sfruttato la pandemia per negare il diritto alla protesta ealmeno 67 Paesi hanno introdotto nuove leggi per limitare la libertà di espressione, associazione o riunione. Lacrescita del debito a causa della pandemiaha avuto un impatto negativo sulle possibilità di stanziare gli investimenti necessari all’erogazione dei servizi sociali essenziali e la ripresa economica è stata compromessa. E intantole principali compagnie di vaccini hanno monopolizzato la proprietà intellettualee bloccato i trasferimenti di tecnologia, mettendo i bastoni tra le ruote alla possibilità di una produzione globale di questi vaccini. BioNTech, Pfizer e Moderna prevedonoguadagni per 130 miliardi di dollarientro la fine del 2022. Quello che era sembrato un rapido sviluppo dei vaccini contro il Covid-19 è statoun privilegio per pochi,con il 2021 che si è chiuso «con meno del 4% della popolazione degli stati a basso reddito completamente vaccinata». L’anno passato è stato ricco di conferenze e riunioni tra leader globali –G7, G20, Cop26-, eppure «l’opportunità è andata persa e si è tornati a quel tipo di politiche che alimentano la disuguaglianza. I soci del“Club dei ragazzi ricchi“hanno fatto promesse in pubblico che si sono rimangiati in privato». A pagarne le conseguenze peggiori è stata l’Africa, soprattutto nella sua parte meridionale: «Con meno dell’otto per cento della sua popolazione pienamente vaccinata alla fine del 2021, hail tasso di vaccinazione più basso al mondo» scrive Amnesty. Un domino cheha danneggiato anche l’istruzione- in Sudafrica, secondo dati di maggio 2021, circa 750.000 bambine e bambini hanno abbandonato la scuola, numero tre volte superiore al periodo pre-pandemico -, l’economia e l’assistenza sociale. «InVietnam, le lavoratrici migranti hanno lamentatoinsufficienza alimentaree impossibilità di accedere ad altri servizi fondamentali», continua il report, «inVenezuela, la pandemia ha peggiorato la preesistente emergenza umanitaria: lo scorso anno il 94,5% della popolazione viveva con un reddito da povertà, il 76,6 in estrema povertà». Ma la pandemia ha acuito anche ladisinformazione. Secondo il rapporto, i social come Facebook, Twitter e Instagram hanno favorito una diffusione dello scetticismo sull’efficacia e sulla qualità dei vaccini, sul diritto alla salute, sui programmi legati alla lotta alla diffusione del virus. In molti Paesi è aumentato il ricorso a forme nascoste disorveglianza digitale, come in Russia e Cina, e in altri le autorità hanno bloccato l’accesso a Internet: Cuba, Swaziland, Iran, Myanmar, Niger, Senegal, Sudan e Sud Sudan. Il mix letale tra una «comunicazione senza scrupoli e una manipolazione dell’informazione» da parte anche di politici e leader, insieme al contributo di«piattaforme social irresponsabili»e a conflitti e crisi già in atto, ha fatto precipitare la situazione in Etiopia e Yemen, come in Afghanistan e Myanmar. In questi Paesi i conflitti sono proseguiti e peggiorati, così come in Burkina Faso, Israele e Palestina, e Libia. Almeno84 Stati, il 54% del totale,imprigionano difensori dei diritti umani, mentre 48 praticano i respingimenti attraverso i confini o i rimpatri illegali di migranti e rifugiati. Nell’anno devastato da pandemia, crisi economiche e climatiche, vecchi e nuovi conflitti,l’unica risposta propositiva ed efficace è arrivata dalla società civile. In Colombia le persone sonoscese in piazzaquando il governo aveva deciso di aumentare le tasse in un momento in cui si lottava per la sopravvivenza. In Russia gli arresti di massa e i procedimenti giudiziari non hanno fermato le manifestazioni. In India,i contadini hanno protestatocontro le nuove leggi che li avrebbero danneggiati. Anche inItalia,a cui è dedicata un’intera sezione, «le autorità hanno continuato a reprimere le attività di persone e organizzazioni che assistono rifugiati e migranti alle frontiere, utilizzando sia il diritto penale che misure amministrative». Il report cita la condanna diMimmo Lucano, ex sindaco di Riace, e le cause giudiziarie contro leOngche recuperano i migranti in mare, denunciando lacriminalizzazione crescente della solidarietà. Il lavoro di 570 pagine mette in luce le crisi che, con solidarietà e cooperazione, si sarebbero potute affievolire. E invece, anno dopo anno, non fanno che riaprire le ferite dei diritti umani nel mondo.