Ah, questa sindrome dell’impostore
Ti capita mai di pensare «è stata solo fortuna»dopo aver ricevuto un complimento a lavoro?Dubitimai delle tue capacità o hai paura di fallire? Se sì, probabilmente soffri dellasindrome dell’impostore. Il termine è stato coniato daPauline Rose Clance e Suzanne Imesalla fine deglianni ‘70per indicare unsenso di inadeguatezzainteriore rispetto alle propriecapacità. Nonostante non rappresenti un disturbo riconosciuto, è possibile rintracciarne alcuni sintomi: tra questi, la paura di essere identificati come impostori e incapaci al lavoro, arrivati fin lì solo per fortuna e non per le proprie competenze. Secondo i dati raccolti dall’Impostor Syndrome Institute,si stima cheil 70-84% delle persone l’abbiano sperimentata almeno una volta. Ma perché ne veniamo colpiti? La psicologaAudrey Ervinha spiegato che non esiste una risposta univoca: «Alcuni esperti ritengono che abbia a che fare con tratti della personalità, comeansia o nevroticismo, mentre altri si concentrano sucause familiari o comportamentali», ha riportato ilTime.Ciò che è certo è che la sindrome dell’impostore può colpire chiunque (uomini, donne, persino l’exfirst lady Michelle Obama) e portare a essere deiperfezionisti. Ma in tutto questo male, un recentestudioha rilevato che la sindrome può portare anche a benefici interpersonali. Dopo aver analizzato il fenomeno all’interno del contesto lavorativo,Basima Tewfik del Massachusetts Institute of Technology (Mit)ha rilevato che tutti gli “impostori” riuscivano a instaurare relazioni interpersonali più significative. «Ho scoperto che i dipendenti che hanno più frequentemente questi pensieri riescono meglio dal punto di vista interpersonale, in quantopuntano a un approccio orientato all’altra persona». Il tutto senza aver conseguenze sul piano lavorativo. Dalla sua analisi è emerso che imediciaffetti dalla sindrome riuscivano a instaurare un rapporto più solido con i pazienti. Come ha spiegato la ricercatrice del Mit alTime,questi annuivano di più ecercavano un contatto visivo diretto con l’altra persona. «Conseguentemente i pazienti pensavano che questi specialisti avessero buone capacità interpersonali, che fossero buoni ascoltatori, che facessero domande migliori e che fossero più empatici». Tewfiknon ha rilevatonei risultatidifferenzesignificative trauomo e donnaperché, erroneamente a quanto si pensa,la sindrome dell’impostore non conosce genere. «Uno dei motivi per cui pensiamo che il fenomeno sia di genere è perché lo studio originale [di Clance e Imes] si è concentrato solo sulle donne», ha affermato la ricercatrice. Tuttavia, è stato dimostrato che sono queste (e in particolare le donne Bipoc) a soffrirne di più. Come ha riportato laBbc, secondo lo psicoterapeutaBrian Daniel Nortonla sindrome dell’impostoreè una conseguenza dell’oppressione sistemica che subiscono le donne bianche, Bipoc, nere e la comunità LGBTQ+.Inoltre, non avere una rappresentanza solida all’interno del contesto lavorativo può solo aggravare la situazione: «È più probabile sperimentare la sindrome dell’impostore se non ci sono nel nostro settore esempi di persone di successo che ci somigliano o condividono il nostro background», ha aggiuntoEmily Hu, psicologa clinica di Los Angeles. E se per caso non ti fossi mai interrogato sulla tua sindrome, puoi sempre scoprirne di più con iltestcreato da Clance.