Neanche le bombe riescono a fermare il razzismo

Neanche le bombe riescono a fermare il razzismo

 

Esistono popoli più degni di solidarietà di altri? Qual è la scala di valori che ne rende alcuni più bisognosi? Non è bastata la condanna da parte dell’Unione africana degli episodi di discriminazione razziale nei confronti degli africani che tentavano di fuggire dal conflitto in Ucraina, dopo l’invasione delle truppe russe iniziata all’alba del 24 febbraio. È servita anche laconferma, qualche giorno dopo, diNazioni Unite e UNHCRper dare rilevanza e veridicità alla situazione che stava affliggendo le persone non bianche, non ucraine, che fuggivano dal Paese. «I Presidenti esortano tutti i Paesi a rispettare il diritto internazionalee mostrare la stessa empatia e sostegno a tutte le persone in fuga dalla guerra nonostante la loro identità razziale» hanno dichiarato, lunedì, ilpresidente senegalese Macky Sall, leader dell’Unione africana, e ilpresidente della Commissione dell’Ua Moussa Faki Mahamat. Loredane Tshilombo,28 anni, ha visto le prime testimonianze tra il 26 e il 27 febbraio, su Twitter: «C’eranostudenti nigeriani e indiani che venivano respinti alle frontieree avevano difficoltà ad accedere ai trasporti per raggiungere l’Ungheria e la Polonia. Ivideo erano chiarissimi: veniva data la precedenza alle persone bianche». Tshilombo, nata nella Repubblica Democratica del Congo e cresciuta a Milano, è stata una delle prime a mostrare le immagini dei respingimenti: «Il fatto che siano stati denunciati solograzie ai socialmi rassicura, perché nessuna istituzione o media mainstream se ne stava occupando, ma al tempo stesso mi preoccupa: come succede nel quotidiano,quando ci si lamenta da persona nera o persona “razzializzata”, è sempre e solo un lamento, mai un fatto.La verità è che ci sono dei fatti oggettivi di discriminazione e non parlarne subito è stato l’ennesimo tentativo di invisibilizzare le persone». Larazzializzazioneè “il processo attraverso cui un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali, disumanizzanti e inferiorizzanti a un gruppo dominatoattraverso forme di violenza diretta e/o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione materiale e simbolica”: lo haspiegatoAngelica Pesarini, docente di Sociologia alla New York University di Firenze.Ilwhitepriviledge, ovvero il privilegio dei bianchi, non si ferma nemmeno di fronte alla guerra:in Polonia c’è chi ha chiesto il visto alle persone in base al colore della loro pelle, mentre tentavano di fuggire da una guerra che, invece, non fa discriminazioni. Come Loredane Tshilombo, ancheNogaye Ndiaye,24 anni, parla di queste tematiche sulla suapagina Instagram, “leregoledeldirittoperfetto”,che gestisce da circa un anno e mezzo: «Sono una studentessa di Giurisprudenza che parla di diritti e che non accetta più che certi comportamenti vengano reputati normali». Quando ha condiviso il primo video sulla situazione alla frontiera, ha ricevuto vari commenti critici:«Mi hanno scritto “Ti sembra il momento adatto? Non è questo il problema”. E invece è proprio adesso che bisogna parlarne, si tratta di trattamenti palesemente diversi e discriminatori». Il sito d’informazioneThe East Africanracconta cheKenya, Etiopia, Uganda, Ghana e Ruanda hanno annunciato di essere in trattative con numerosi Paesi dell’Unione europea per concedere permessi temporanei ai propri cittadini per aiutarli a fuggire dalla guerra.Venerdì scorso le autorità polacche hanno rilasciato una dichiarazione che consente agli stranieri di vivere nel loro territorio fino a 15 giorni senza visto o senza la necessità di presentare un certificato Covid-19. Ma, lunedì,le autorità ucraine sono state accusate di aver discriminato gli africani e di aver impedito loro di andarsene.«Un video mostrava una ragazza bianca che veniva fatta passare davanti a un gruppo di persone nere che aspettavano il loro turno» spiega Tshilombo. Alcune testimonianze raccolte dallapiattaformavideofrancese Brutmostrano alcune ragazze fermate alla frontiera tra Polonia e Ucraina: «Hanno radunato i neri, ci hanno messo insieme in un angolo» racconta una di loro. «Si può parlaredi persone di serie A e persone di serie B, e non aver dato credito fin da subito a questi racconti e ai video che circolavano sui social è un chiaro e lampanteatto discriminatorio anche da parte delle istituzioni» spiega Loredane Tshilombo. «Sapere che è meglio condividere qualcosa suTwitter, piuttosto che chiedere aiuto all’istituzione più vicina che ho, perché almeno so che avrò una risposta, anche in tempi brevi,è sconfortante». A quasi2 anni dalla morte di George Floyde dal rapido sviluppo globale del movimentoBlack Lives Matter, gli episodi discriminatori continuano senza sosta: «E non parlo solo della comunità nera,questo razzismo sistemico prende di mira tutte le comunità escluse dalla visione bianco centrica degli Occidentali: abbiamo una lista continua di persone che muoiono ai nostri confini, dentro i nostri Centri di Permanenza per i Rimpatri, dentro strutture che di legale hanno sempre meno». Nogaye Ndiaye non trova neanche le parole per descrivere questa situazione: «Si tratta diun razzismo troppo interiorizzato, che ci fa stabilire la provenienza di qualcuno solo a partire dal colore della sua pelle: perché se io non riesco a concepire che una persona nera possa essere italiana, ucraina, rumena o di un’altra nazionalità, vuol dire che ho un problema. Epensare di salvare una persona in base alla sua cittadinanza, è una cosa barbara». E la divulgazione di queste notizie dovrebbe passare attraverso mezzi accessibili a tutti: «Instagram non basta e i social sono pieni di odio e fake news, vanno dosati con cura» spiega ancora Ndiaye. Negli ultimi giorni, però,molti media statunitensi hanno dato spazio a ospiti e giornalisti che hanno avuto un approccio razzista all’informazione,definendo il popolo ucraino più degno di solidarietà di altri, come siriani o iracheni, perchépiù civilizzato e vicino all’Europa. «La cosa più grave in questi casi, oltre alla comunicazione in sé, è il fatto che queste persone non vengano interrotte da nessuno: poi, una volta finito il servizio o il collegamento, arrivano le scuse.Ma il danno ormai è fatto» spiega Tshilombo. Ndiaye parla delprincipio di uguaglianza totalmente assente, che invece dovrebbe essere un principio cardine anche nel racconto dei conflitti: «Questo doppio trattamento c’è da moltissimo tempo e purtropponon mi stupisce più». Molte delle persone che hanno tentato di lasciare il Paese, come una studentessa di medicina di 24 anni del Kenya,hanno aspettatooreprima di passare la frontiera. Alcune addirittura giorni.Altre sono state respinte anche dagli hotel che offrivano alloggi gratuiti agli ucraini.I funzionari ucraini e polacchi affermano che tutti i rifugiati sono i benvenuti.