I nuovi poeti tra impegno, amore e resistenza
Svoltato un angolo e sbucati in uno dei tanti vicoli di Roma o di altre città italiane, durante una passeggiata notturna, vi sarà capitato di vedere un lampione illuminare, quasi come un riflettore puntato volutamente, alcuni versi scarabocchiati sui muri, di solito affollati da slogan politici, parolacce e giuramenti di eterno amore. È una delle tante metamorfosi della poesia, illustre antenata della musica, che riesce a dispetto dei secoli ad attualizzarsi, ora assumendo l’aria scanzonata dellastreet poetry, ora quella più patinata e glamour dellapoetessa, attivista e modella afroamericana Amanda Gormanche alla cerimonia di insediamento del Presidente Biden ha pronunciato di fronte ai microfoni di tutto il mondo la sua“The hill we climb”. In ItaliaEr Pinto, autore di componimenti e aforismi nella Capitale, ha cominciato disseminando le sue parole sui mattoni e gli intonaci scrostati della città. “Sono cresciuto in un’ex borgata romana”, spiega “tra una partita di pallone e una birra in compagnia, in un contesto in cui si parla unlinguaggio coloritoe con radici profonde”. Quando racconta come è nato il suo progetto poetico, spiega che lo hanno sempre affascinato “i proverbi, i dialetti locali e in generale qualsiasi modo di parlare che non fosse convenzionale, dagli striscioni allo stadio alla musica rap”. E aggiunge: “Ho iniziato dieci anni fa, poco più che ventenne e dopo aver pubblicato alcuni componimenti sul web, assieme ad altri ragazzi di un collettivo che all’epoca frequentavo, ho deciso di scrivere le mie rime sui muri. Sentivo il bisogno di fare qualcosa direale, che non puntasse solo a qualche like o contatto virtuale. Così ho scelto la mia cifra stilistica:una via di mezzo tra un graffito e una pasquinata”. Il giovane artista di strada ha all’attivo già un paio di raccolte su carta,Il peso delle coseeMal di mare,senza contare la neonata casa editrice indipendenteSine luna, fondata durante la quarantena, per promuovere la poesia underground e l’immaginario urban. Roma non è l’unica metropoli popolata dai poeti di strada. AMilanoc’èIvan Tresoldi, in arte solo Ivan, chedal 2003dipinge le sue“scaglie”- brevi componimenti poetici – per le vie del capoluogo lombardo. Il suo e quello degli altri artisti è un atto rivoluzionario, cherestituisce alla poesia una dimensione popolare e collettiva, sfidando il monopolio dei cattedratici. Ivan, infatti, compie le sueincursioni poetiche in pieno giorno, coinvolgendo il pubblicoe cercando un confronto durante la realizzazione dell’opera. Crede che la poesia, quella di strada, sia un linguaggio universale, il più antico e originale di qualsiasi civiltà. La pensa così anche Er Pinto. “Spero che in Italia la poesia riesca a trovare un posto nella cultura di massa, che si smetta di considerarla noiosa, scolastica o elitaria. L’obiettivo della street poetry è di arrivare anche a chi non aprirebbe mai un libro di poesie o a chi critica la urban art senza conoscerla.I versi che io stesso lascio in giro per la città sono un concentrato delle mie raccolte cartacee. Un po’ come il campioncino che ti regalano in profumeria”. Se per i muralisti la poesia deve nascere da un’esperienza condivisa o deve recarla con sé, i collettivi vivono della partecipazione e dei contributi dei volontari. È il caso delMovimento per l’Emancipazione della Poesia, una vera e propria rete alternativa, diramata aFirenzee aMilano, unnetwork di creazione e diffusione di poesia contemporanea. Come dichiara il manifesto dell’iniziativa, sebbene sia letta sempre meno, la poesia viene ancora scritta e non ha perso la capacità diparlarci. È tuttoraportatrice di verità. Soprattutto in determinate aree geografichepuò tramutarsi nella più alta e sublime forma di resistenza, alla tirannia e alla sopraffazione. “Farò della parola tumulto e del tumulto schiuma d’onda”recita una potente riscrittura di Cesare Pavese dei Dialoghi di Leucò. È un verso che riassume in sé il senso ultimo del linguaggio poetico, quello che, parafrasando il pensiero del poeta francese René Char,deve recare con sé “tempesta” e “sovversione”. InMyanmar, per esempio,poesia, scrittura e resistenza politica sono legate a doppio filo, un sodalizio risalente al movimento nazionalista sotto il dominio coloniale britannico. Ancora oggi i militari, dopo la presa di potere del generale Ne Win nel 1962, vedono di sott’occhio i poeti. Come raccontato di recente sulGuardian, un gruppo dirifugiati Rohingya, unaminoranza perseguitatadal regime militare – in prevalenza di etnia Bamar – e costretta a fuggire in Bangladesh, ha fondato nel campo profughi in cui sono confinati uncollettivochiamato“Art Garden Rohingya”, che ha portato alla lucecentinaia di poesie in rohingya, birmano e inglese. Non è un caso che l’arma adottata per combattere le violenze e i soprusi dei militari del Myanmar sia la poesia: la sua unicità risiede, secondo Er Pinto, nel fatto che“chiunque legga ad alta voce o a mente una poesia, senza avere particolari attitudini, in quel momento la vivrà dentro di sé.Si tratta di un’intimità immediata che è difficile provare al cospetto di altre forme d’arte, davanti a un dipinto o una scultura”.