Per treni locali, autobus e tram, spine dorsali del sistema che muove pendolari e studenti, questi due anni di pandemia sono stati devastanti. Al calo di passeggeri dovuto alle regole per prevenire la diffusione del virus,si sono aggiunti i casi di malattia o quarantena imposti al personale, oltre che i costi di pulizia e sanificazione dei mezzi. Secondo i dati delrapportoPendolariadi Legambientei passeggeri sono si sono quasi dimezzati sia sull’alta velocità che sui regionali, con il paradosso che ci sono linee (una su tutte la Roma Lido, ma anche la Circumvesuviana e alcune tratte lombarde) che continuano a essere sovraffollate e quasi invivibili.Ma la soluzione ai problemi del trasporto pubblico locale sono nuove tratte ferroviarie o nuove fermate per i treni?Ed è questa la via per avere meno emissioni e maggiore sostenibilità? In un bel pezzo sulavoce.infoPaolo Beria, che dirige il laboratorio sulle politiche dei trasporti del Politecnico di Milano, spiega che non è così:“Ci sono treni che si credono autobus e, naturalmente, regioni che glielo fanno credere”. Nella sua analisi mostra, prendendo l’esempio della Lombardia e dell’Emilia Romagna, che gran parte delle stazioni muove meno di 200 passeggeri al giorno e i treni che fanno tutte quelle fermate, lo sappiamo, impiegano un’enormità di tempo a compiere l’intero tragitto. Il cambiamento portato dalla pandemia, il denaro in arrivo dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbero essere le occasioni per ripensare tutto questo con criteri economici, ambientali e di servizio sensati.Ma ci vuole capacità di programmare, oltre che la forza politica per non cedere a pressioni elettorali: chiudere una stazione o renderla marginale fa perdere voti.E lo stesso discorso di programmazione e ripensamento vale per le città più grandi, che dovranno adeguarsi al fatto che lo smart working è diventato parte delle nostre vite e delle nostre routine.