Airbnb e razzismo: un problema ancora aperto

 

Accuse di razzismo? Non è la prima volta che Airbnb si trova a fare i conti con segnalazioni di questo tipo. Una delle più recenti riguarda la causa intentata da tre donne afroamericane di Portland, in Oregon, contro un uso improprio e discriminatorio di nomi e fotografie sul portale. Il processo si è chiuso nel 2019, con una sentenza che ha riconosciuto l’avvenuta violazione della normativa statale sull’accessibilità degli alloggi. Come conseguenza, a partire dal 31 Gennaio 2021, la società ha annunciato un cambio dipolicy: glihost(ndr, i privati che caricano sul sito gli annunci di stanze o appartamenti affittabili) non potranno visualizzare i nomi completi e le foto profilo degli utenti interessati a concludere l’affare, sino alla conferma della prenotazione. L’ipotesi di eliminare del tutto nomi e foto è stata invece scartata, perché entrambi considerati elementi importanti per aiutare gli utenti – affittuari e ospiti – a connettersi fra loro e rafforzare così il senso dicommunitysul sito. L’aggiornamento, fa sapere il colosso degli affitti online, riguarda almeno per ora solo lo stato dell’Oregon e sarà in vigore per i prossimi 2 anni. È un cambiamento incoraggiante, ma probabilmente non sufficiente a risolvere una dinamica molto più diffusa. I reclami contro la discriminazione razziale su Airbnb non sono infatti insoliti, purtroppo: già nel 2015 era stato coniato l’hashtag#AirbnbWhileBlackper denunciare i pregiudizi razziali subiti da numerosi utenti della piattaforma. Le esperienze riportate erano fra loro simili: gli utenti raccontavano di essersi visti rifiutare ripetutamente tentativi di prenotazione per alloggi che sul sito risultavano invece disponibili. A far partire la campagna era stata Quirtina Crittenden, una consulente aziendale di Chicago, all’epoca poco più che ventenne. La giovane aveva messo in atto un esperimento: sostituendo la propria immagine del profilo con un generico paesaggio urbano e abbreviando il proprio nome da “Quirtina” a “Tina”, la ragazza aveva ricevuto un trattamento del tutto diverso, riuscendo molto più rapidamente a concludere le prenotazioni. Uno studio di Harvard del 2016 confermava questo genere di testimonianze, rivelando come i nomi tipicamente afroamericani avessero il 16% in meno di probabilità di essere accettati daglihost.Un gruppo di ricercatori della Harvard Business School aveva esaminato 6.400 annunci di Airbnb in 5 città statunitensi (Los Angeles, Dallas, Baltimora, St Louis e Washington). L’obiettivo era quello di analizzare il fenomeno del razzismo nell’ambito della cosiddetta“sharing economy”. Bene: è risultato che la stessa richiesta proveniente da due account simili generava reazioni molto diverse a seconda dell’etimologia del nome e del colore della pelle della persona in foto. Era inoltre emerso che gli affittuari neri avevano meno possibilità di guadagno e che, di contro, le persone bianche sceglievano più facilmente di non concludere l’affare nel caso l’abitazione risultasse di proprietà di un soggetto afroamericano. A dirla tutta, Airbnb non è rimasto inerme. Da diversi anni, il sito per gli affitti online più cliccato al mondo richiede al momento della registrazione sulla piattaforma di accettare l’impegno dellacommunitya “trattare gli altri senza discriminazioni e con rispetto„. A partire dal 2020, ha lanciato poiProjectLighthouse, un’iniziativa volta a monitorare il fenomeno dei pregiudizi razziali sul proprio portale, in collaborazione conColor Of Changee altre organizzazioni per i diritti civili. Sono sfide comuni a tutte le piattaforme digitali emergenti: la disciplina legislativa fatica a stare al passo con i problemi e le esigenze in continua evoluzione degli strumenti informatici. In questo senso, “prendere le misure” alla discriminazione è fondamentale per combatterla e sradicarla, secondo Johnny Mathias, vicedirettore senior della campagna per la giustizia razziale diColor of Change. Le parole d’ordine per Airbnb e altre società dovrebbero essere quindi “monitoraggio” e “trasparenza”: occorre verificare periodicamente la situazione, e rendere pubblici gli esiti di queste indagini.