La cultura c’è ma non per tutti

La cultura c’è ma non per tutti

 

È in edicola l’ultimo numero della rivistadi architetturaDomus, dedicato a un’indagine sull’evoluzione dei musei e delle istituzioni culturali italiane. Pensando alnostro Paesenon si possono non evocare il buon cibo, i paesaggi meravigliosi che da nord a sud lo arricchiscono, ma soprattutto la quantità di siti archeologici emuseiche lo rendono tra i più ricchi in termini storici e culturali. Non a caso si tratta di quello con ilmaggior numero di siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco(ben 58), e quasi 5.000 tra musei e Istituti similari, pubblici e privati, aperti attualmente al pubblico. A partire dal reportIo sono Culturadellafondazione Symbola, che attraverso ricerche, eventi e progettiracconta le aziende e le istituzioni che contribuiscono a migliorare il Paesepuntando su innovazione e sviluppo, l’indagine di Domus restituisce una panoramica complessa e dettagliata della realtà artistico-culturale in Italia partendo da un dato:su tutto il territorio ogni euro prodotto dalla cultura ne genera 1,8 in altri settori. Ciò significa che le attività culturali e creative sviluppate da soggetti pubblici, privati e del terzo settore attivano valore anche in altri ambiti dell’economia, principalmenteturismo, trasporti e manifattura. Se, infatti,il segmento creativo e culturale dà lavoro a 1,5 milioni di personeche generano una ricchezza per 88,6 miliardi di euro; i servizi a esso strettamente collegati nominati in precedenza producono circa 162.9 miliardi l’anno per un totale di 252 miliardi di euro con un’incidenza sull’intera economia pari al 15,8%. Come ha affermato Mattarella nel suo discorso d’insediamento dunque,investire sulla culturanonsignifica farlosul superfluo manel complesso dei valori e dei principi che fondano le ragioni del nostro stare insiemee della nostra identità, favorendo la capacità di generare idee e prodotti che alimentano la nostra ricchezza e la nostra proiezione internazionale. Eppure, come spesso accade, non è tutto oro quel che luccica, considerando che si tratta di un settore ancoraprigioniero di limiti enormicome carenza di infrastrutture di qualità. L’errore è pensare alla cultura, come a un bene passivo, mentre al contrario è un elemento vivo che segue le dinamiche della società e deve essere costantemente tutelato, conservato e al tempo stesso valorizzato. Nonostante il XII rapporto annualeIstatregistri unincremento di visitatori nel 2021 rispetto al 2020, questo balzo in avantinon ha permesso di recuperare il terreno perso e tornare ai livelli pre-pandemici.La causa riguarda nello specifico l’inadeguatezza delle infrastrutturee il fatto che il materiale informativo e laformazione del personalenon sono adeguati all’audience. Solo il 60% delle persone impiegate, a esempio parla inglese, il 31% il francese, il 13% il tedesco e meno dell’1% arabo, cinese e giapponese. Il numero diDomussi sofferma in particolare sulle problematiche riscontrate a livello architettonico e sullanecessità di ridisegnare gli allestimenti anche in termini di sicurezza e accessibilità, alla luce del fatto che solo il17% dei musei italiani ha subito adeguamenti sismicie il 30,7% è stato inserito nel piano di protezione civile e comunale; per non parlare del 34% che non è dotato di un piano di sicurezza ed emergenza. In quest’ottica è bene non dimenticare ledifficoltà riscontrate da persone con disabilità sia motoria sia cognitiva. Secondo un’indagineIstatdel 2021 in merito all’accessibilità di musei e biblioteche in Italia, nonostante i significativi progressi realizzati per promuovere la cultura dell’accessibilità del patrimonio culturale,molte istituzioni non hanno ancora rimosso le barriereche compromettono la libertà di accesso a tutti gli spazi espositivi; ancora meno hanno affrontato il tema delle barriere percettive, culturali e cognitive che limitano o impediscono la fruizione culturale da parte deә visitatorә con disabilità di tipo cognitivo, visivo o uditivo. Dunque, grazie a questo nuovo volume,Domusoffre l’opportunità di ripensare a un grande paradosso che riguarda l’Italia:essere il Paese più ricco di beni culturali al mondo e non riuscire a garantirne un’adeguata fruibilità. Occorre un cambiamento di paradigma e di pensiero che spinga a investire su nuovi progetti, formazione e digitalizzazione con la speranza che nel 2023 la cultura abbia un impatto ancora più significativo sulla qualità della vita delle persone, sul loro benessere e sull’integrazione sociale.