Nessuna verità per Giulio Regeni

In Italia è una notte senza giustizia, quella di venerdì 15 luglio. Che inizia, in prima serata, con l’assoluzionein primo grado di tutti gli imputati accusati dell’omicidio diSerena Mollicone, la diciottenne di Arce trovata morta il 3 giugno del 2001 nel bosco di Anitrella, in provincia di Frosinone. E prosegue, intorno alle 22.30, con l’agognato epilogo della Cassazione sul destino dibattimentale diGiulio Regeni, dove la giustizia sembra aver trionfato non soltanto sulla verità processuale, ma anche sul buon senso. I giudici della Corte Suprema, infatti, hanno dichiaratoinammissibileilricorsopresentato dalla Procura di Roma contro la sospensione del processo ai quattroagenti dei servizi segretiegiziani – Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Usham Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif – accusati dell’omicidio del ricercatore italiano, rapito a Il Cairo il25 gennaio 2016e ritrovato privo di vita il3 febbraioa nove giorni di distanza. A maggio il pubblico ministeroSergio Colaioccoaveva impugnato l’ordinanza del gup, in linea con la decisione della Corte d’assise, ritenendolo «un atto affetto daabnormitàin quanto ha determinato, assieme ai provvedimenti presupposti di cui costituisce effetto consequenziale, la stasi del provvedimento e l’impossibilità di proseguirlo». Secondo la Cassazione, tuttavia, i provvedimenti non possono essere impugnati in quanto non abnormi. «Abnorme è certamente tutto il male che è stato inferto e che stanno continuando a infliggere a Giulio.Come cittadininon possiamo accettare né consentire l’impunità per chi tortura e uccide», hanno replicato igenitoridel ricercatore Paola e Claudio Regeni insieme alla legale Alessandra Ballerini, che definiscono la pronuncia della Corte «una ferita di giustiziaper tutti gli italiani». Regeni, all’epoca dei fatti, era dottorando in Commercio e sviluppo internazionale presso il dipartimento di Politica e studi internazionali dell’Università di Cambridge, e stava scrivendo unatesi suisindacati indipendenti dei venditori ambulanti, tra i più convinti oppositori dell’attuale presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Il 4 dicembre 2018 la procura di Roma iscrive 5 persone nel registro degli indagati. Due anni dopo la procura capitolina chiude le indagini nei confronti di 4 agenti a cui vengono contestati i reati disequestro di persona,concorso in lesioni personalieomicidio. Per un quinto agente viene chiesta l’archiviazione. La notifica avviene col cosiddetto “rito degli irreperibili”, ovvero gli atti vengono trasmessi direttamente agli avvocati d’ufficio iscritti all’ordine di Roma non essendo mai pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati. L’Egitto si rifiuta di collaborare, e tra i numerosi depistaggi messi in atto per nascondere la verità la macchina della giustizia italiana si ferma. Il 31 dicembre dello stesso anno,i genitori di Giulio Regeniannunciano di voler procedere con unesposto-denuncia contro lo Stato italianoper violazione della legge 185/90 che vieta l’esportazione di armi «verso Paesi responsabili di violazione dei diritti umani accertati dai competenti organi, e il governo egiziano è tra questi». Il 20 gennaio 2021, cinque anni dopo la scomparsa di Regeni, i pm firmano la richiesta dirinvio a giudizio. Il 25 maggio 2021 il giudice dell’udienza preliminare Pierluigi Balestrieri manda a processo i quattro 007 egiziani, ancora irreperibili, ritenendo «volontaria la sottrazione dal processo» da parte dei 4 imputati. Parere ribaltatodai giudici della Corte d’assise, che il 14 ottobre 2021 annullano il rinvio a giudizio disposto dal gup ritenendo che non si ha la certezza «dell’effettiva conoscenza del processo da parte degli imputati, né della loro volontaria sottrazione al procedimento». Il caso torna al gup, che l’11 aprile 2022 sospende il procedimento e fissa unanuova udienzaa ottobre dello stesso anno. Il 2 maggio però, il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ricorre in Cassazione contro l’annullamento del gup e, prima ancora, della Corte d’assise, ritenendo gli imputati «finti inconsapevoli». Ma ora la Corte Suprema ribadisce l’impossibilità di arrivare a una sentenza e lascia aperta quella che lo stesso Colaiocco aveva definito «una insanabile contraddizionelogica. Per affermare che l’imputato si è sottratto alla conoscenza degli atti si deve provare che ne abbia avuto conoscenza». «Si è consentito a un governo, quello egiziano, che mai ha voluto collaborare alla ricerca della verità per Giulio Regeni, di sfruttare cinicamente le garanzie della procedura italiana per cercare ancora una volta di ottenere l’impunità per i suoi funzionari», ha dichiarato il portavoce diAmnesty InternationalItalia Riccardo Noury. Quando non si riesca a cambiare la giustizia italiana, l’unica strada percorribile sembra essere quella di rivolgersi allaCorte europea dei diritti dell’uomo. Se Giulio Regeni vincesse questa battaglia al tribunale di Strasburgo, però, il suo Paese ne avrebbe persa un’altra ben più grave.