Ambiente

I Verdi conquistano l’Australia

Con l’elezione del primo ministro Anthony Albanese, la principale nazione dell’Oceania potrebbe abbattere le sue emissioni climalteranti del 43% entro il 2030
Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, lascia la sua casa di Sydney per una passeggiata con il cane Toto
Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, lascia la sua casa di Sydney per una passeggiata con il cane Toto Credit: EPA/DEAN LEWINS
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24 maggio 2022 Aggiornato alle 11:00

Con la recentissima vittoria alle elezioni generali australiane del candidato del Partito Laburista Anthony Albanese, sembra aprirsi una nuova fase per le politiche climatiche-ambientali nella principale nazione dell’Oceania.

Il nuovo primo ministro ha subito affermato che «ora abbiamo un’opportunità per mettere fine alle guerre climatiche in Australia. Le imprese australiane sanno che una buona azione contro il cambiamento climatico fa bene ai posti di lavoro e alla nostra economia, e io voglio unirmi allo sforzo globale».

La crisi climatica è stata una delle principali tematiche che hanno dominato la campagna elettorale, tanto da spingere milioni di australiani a rigettare la rielezione del conservatore Scott Morrison, leader della Coalizione Nazionale-Liberale che negli ultimi 10 anni aveva nettamente sabotato qualsiasi piano di mitigazione, nonostante gli immensi incendi, le alluvioni, la siccità e le temperature record raggiunte in certi parti del Paese.

A causa di questa “inazione” le rinnovabili sono rimaste poco diffuse e il 75% dell’elettricità nazionale deriva ancora dal carbone, di cui l’Australia è il secondo più grande esportatore nel mondo e il terzo con le più larghe riserve del Pianeta. Per il professore Mark Howden dell’Università Nazionale Australiana a Canberra «al momento le nostre emissioni non stanno diminuendo».

Con la salita al potere del Partito Laburista si prevede un drastico cambiamento nell’approccio, soprattutto in base al piano presentato dal team di Anthony Albanese. Che prevede una riduzione delle emissioni del 43% entro il 2030, grazie a nuovi investimenti negli impianti solari, nella produzione di batterie di accumulo, nell’efficientamento delle rete energetica, nella diffusione dei veicoli elettrici e nello sviluppo dell’idrogeno e acciaio verde.

Un piano giudicato da diversi esperti ancora insufficiente, in quanto non rispetterebbe i vincoli dell’Accordo di Parigi del 2015 che prescrivono delle politiche climatiche atte limitare l’aumento delle temperature globali entro 1,5 gradi, mentre i piani del Partito Laburista portano a temperature intorno ai 2 gradi.

Molto più ambiziosi sono i propositi dei partiti minori, come i “Teal independents” (Indipendenti verde acqua) e i Verdi australiani, che propongono una riduzione delle emissioni del 60% (o del 74% i secondi) entro il 2030, ma soprattutto una fortissima decarbonizzazione dei vari settori industriali e del comparto elettrico che dovrà presentare un mix energetico composto all’80% da fonti rinnovabili entro la fine della decade.

È prevista anche una rivoluzione nel settore dei trasporti, con il Partito Laburista che vuole un linea ferroviaria ad alta velocità nella costa orientale australiana, mentre i Teals spingono per elettrificare almeno il 76% di tutti i nuovi veicoli entro il 2030.

I Verdi hanno proposto politiche ancora più aggressive, prevedendo un investimento di 6,1 miliardi di dollari australiani per la futura industria manifatturiera elettrica tanto che il loro leader Adam Bandt ha affermato che «ridurremo l’inquinamento, creando nuovi posti di lavoro e diventando energeticamente indipendenti se faremo ripartire l’industria automobilistica dell’Australia del Sud, elettrificandola».

Un insieme di propositi molto ambiziosi che metteranno pressione al nuovo premier Albanese, specialmente se il suo governo non dovesse avere la maggioranza dei seggi. Ma allo stesso tempo dei propositi che consentirebbero di rimanere in linea con gli obiettivi fondamentali dell’Accordo di Parigi.

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