Diritti

E chi mammazza

Viviamo in una società che esalta la madre tanto quanto la ostacola, suggeriscono le “Mammedimerda” in un nuovo libro. Per questo, oggi più che mai, alziamo la voce
Francesca Fiore e Sarah Malnerich, alias Mammedimerda, autrici del libro "Non farcela come stile di vita" (Feltrinelli), al TedxRovigo,
Francesca Fiore e Sarah Malnerich, alias Mammedimerda, autrici del libro "Non farcela come stile di vita" (Feltrinelli), al TedxRovigo,

Ha ancora senso parlare di maternità, e di festa della mamma, oggi? Non si sono forse già spese troppe parole, troppi commenti, troppi libri? Per nulla: parlare dell’essere madri negli anni Duemila, in Italia, è ancora fondamentale, perché il dibattito pubblico sulla maternità ha fatto pochissimi passi in avanti. Anzi, in sostanza solo uno.

Si è passati dall’esaltazione della madre devota - dedita ai figli, con o senza lavoro non importa perché comunque secondario, regina della casa - alla celebrazione di due modelli, solo in apparenza migliori: quello della madre multitasking e quello della madre imperfetta. Modelli che il libro delle autrici del blog ironico Mammedimerda Francesca Fiore e Sarah Malnerich, Non farcela come stile di vita (Feltrinelli) sgretolano allegramente entrambi (qui il video del loro TedxRovigo Contro il concetto del multitasking).

Ma in che cosa consiste questa doppia rappresentazione? Alle madri affaticate, divise tra i mille bisogni dei bambini e un lavoro che chiede impegno senza limiti di orario e a fronte di soldi che non bastano neanche per mezzo affitto, si è proposta da un lato l’immagine logora e stereotipata – ma che non sembra perdere il suo fascino nelle illustrazioni degli articoli e nei libri che parlano di maternità - della madre dea Kali, una mano al computer un’altra mentre dà la pappa al bambino. Il concetto sottostante è che le madri in fondo ce la possano fare grazie al loro essere “multitasking”, abili a passare da un fronte all’altro e quindi, tutto sommato a conciliare tutto.

Madre imperfetta, la soluzione del capitalismo patriarcale

Dall’altra parte, c’è la rappresentazione della madre imperfetta, che, come le due autrici spiegano con amara ironia, è stata la sadica soluzione che il capitalismo patriarcale ha pensato per noi. Ricordo a questo proposito con una certa rabbia una fiction Rai di qualche anno fa, Una mamma imperfetta. Perché in sostanza il messaggio era: non riuscite a conciliare? Non riuscite a fare tutto? Non importa! Cercate di farlo abbastanza bene! Se fate qualche errore non importa. Se bruciate il sugo una tantum, che problema c’è? Viva la mamma imperfetta! Sembra un messaggio di tolleranza, empatia.

Tutto il contrario: di fatto scarica sempre sulla madre la responsabilità della mancata conciliazione tra famiglia e lavoro. Non solo. Si suggerisce che la soluzione del conflitto sia semplicemente fare le cose meno bene, che, tra l’altro, non vuol dire niente. Oltre al fatto che, spesso, le madri le cose vogliono farle bene, con cura, precisione, attenzione. E infatti per Francesca Fiore e Sarah Malnerich il punto non è diventare un “poco imperfette” quanto, direttamente, mollare tutto, dichiarare fallimento, esprimere ad alta voce sia la fatica che l’impossibilità.

Arrendersi: ovvero urlare forte e chiaro

E proprio di questo ragionamento avevamo disperatamente bisogno nel nostro dibattito pubblico sulla maternità. Perché quello del libro Non farcela come stile di vita non è affatto, come può sembrare, un invito a essere imperfette, ma un salto etico-ontologico: dichiarare al mondo (soprattutto italico) che la conciliazione non è letteralmente possibile. Che con questo welfare, con queste scuole a intermittenza, con questo lavoro gratuito, semi-pagato, malpagato non si tratta di fare le cose meno bene ma di arrendersi.

Resa che, in realtà, è tutto il contrario di una capitolazione depressiva, è cioè una protesta forte e viva. Che addossa la colpa della fatica delle madri su una società che conta unicamente sulla forza delle madri per reggere la baracca, per lenire le ferite, per produrre empatia e curare chi ha bisogno di cura. Che è indifferente alla loro lacerante stanchezza, ai tentativi falliti di tenere insieme le cose, alla loro disperazione – spesso – di fronte a un puzzle che non torna mai.

La retorica colpevolista del fare figli solo se si è “indipendenti”

Vediamola insieme, la vita di una madre oggi. Nasce come una bambina, subito immersa negli stereotipi ancora presenti sui libri di scuola, dove le madri cucinano e i padri leggono il giornale, ma anche nei giocattoli e nella rigida divisione dei colori nei vestiti appesi nei grandi magazzini. Una bambina che cresce, studia, si laurea, più velocemente e prendendo voti migliori degli uomini. Nonostante questo, il primo stipendio sarà già di alcune centinaia di euro inferiore a quello di un suo coetaneo maschio, mentre più spesso avrà un contratto precario.

Il divario si aggraverà nel tempo, invece di migliore. Ma un certo punto, comincerà a sentire il famoso orologio biologico, brutta metafora purtroppo però aderente alla realtà. A questo punto, se seguisse la voce di una campana altrettanto retorica e stereotipata non farebbe figli. Perché questa voce dice fiera: “Io dico sempre alle donne: mai fare figli se non si è economicamente indipendenti!”.

Bello, bellissimo, se non fosse per il fatto che economicamente indipendenti non lo si è mai, sicuramente non a trent’anni per una donna oggi in Italia. E allora? Quelle che lanciano il cuore oltre l’ostacolo, e fanno i figli nonostante la precarietà e il divario economico con il partner, più che redarguite, andrebbero ringraziate, se è vero che i figli sono un bene comune. E invece oggi tocca loro anche sentirsi la predica di chi, spesso, si è emancipata grazie a soldi altrui o in un’epoca in cui le opportunità erano ben diverse.

Quei soldi lasciati sul comodino

Quello che segue a una nascita però non è quasi mai un happy end. Perché con la gravidanza e i pur pochi mesi di assenza dal lavoro il divario si aggrava. Molte donne lasciano, perché non riescono a gestire l’alta conflittualità che si crea tra la cura di bambini piccoli e il dover rispondere a imperativi lavorativi, specie se lo stipendio non è tale da consentire ricchi aiuti.

Abbandonando il lavoro, restano però dipendenti da un uomo, che lascerà loro i soldi sul comodino, con tutto quello che ne consegue: non saranno davvero libere, saranno più fragili e qualche volta più esposte a violenze. Se non lasciano il lavoro, cominciano comunque una vita che è tutt’altro che paradisiaca. Conosco madri che per 15 anni non sono mai uscite di casa la sera. Madri che si alzano prestissimo per portare i bambini a scuola e poi lavorano su mille fronti fino a cena, quando tornando a casa dal lavoro dovranno iniziare la loro seconda e più intensa occupazione, e magari chiudono la giornata a mezzanotte mandando la lavatrice.

Così, per anni e anni, i bambini hanno bisogno di tutto, centinaia di atti di cura ogni giorno. Senza pause e senza ricevere gratificazioni sociali per aver messo al mondo chi quel mondo lo continuerà. Anche gli uomini che lavorano e hanno figli, intendiamoci, hanno una vita faticosa e sono spesso stremati. In genere però fanno lavori più gratificanti, o comunque meglio retribuiti, mentre il lavoro domestico non è mai, mai ripartito al 50 per cento.

Curare bambini, genitori. E pure animali

E poi accadono le separazioni, dove le madri sono quelle che ci rimettono di più. No, non sto negando la realtà dei padri che lasciano la casa e tornano dai genitori, né dei loro stipendi falcidiati dagli assegni di mantenimento. L’assenza dell’aiuto statale ai separati inasprisce la sofferenza di chi è separato. Ma resta sempre un problema di cifre: se hai uno stipendio, se comunque guadagni, nel momento in cui ti separi starai sempre meglio di chi o non lavora o ha uno stipendio miserabile. E che deve continuare a dipendere da te per ogni cosa, proprio mentre avrebbe voluto emanciparsi.

La storia delle madri italiane non finisce però qui. Perché, separate o non separate a un certo punto cominciano le malattie e l’assistenza ai genitori. È il cosiddetto effetto panino, che da noi è peggiore non solo perché sono carenti il welfare e l’assistenza per gli anziani, ma i figli di fanno più tardi (proprio in attesa della famosa indipendenza!). Così ci sono madri che a quarant’anni devono assistere genitori o suoceri mentre i bambini si fanno ancora la pipì a letto. E magari ci sono anche cani e gatti da curare, ormai diventati un impegno in più.

No alla maternità o no alla maternità in queste condizioni?

E poi c’è la vecchiaia, delle madri: i dati delle pensioni sono impietosi. Quelle femminili sono minuscole rispetto a quelle dei mariti. Chi è separata vivrà in povertà, chi sposata in dipendenza. E per fortuna che ancora nessuno ha pensato nel nostro Paese, anche se a un certo punto ci furono alcune proposte, di eliminare la pensione di reversibilità. Che ancora resta l’unica forma di welfare per le donne anziane, anche se comunque tagliata, e di parecchio, rispetto al passato.

Infine ci sono loro, le donne senza figli, sempre più numerose. Anche di loro bisogna parlare in questa giornata. Credo poco alla scelta netta del non voler aver figli, o meglio penso che quella scelta si formi lentamente, e giustamente, quando la ragazza, poi donna, osserva ciò che accade intorno a sé, la condizione poco felice delle madri, la condizione ancora peggiore del Pianeta. E allora quel no alla maternità spesso non è tanto un no alla maternità in sé, esperienza che pure non è per tutte come qualsiasi altra esperienza, ma un no alla maternità in queste condizioni e con quelle conseguenze. Ovvero come una perdita di libertà, perché una maternità vissuta con fatica e pochi mezzi questo comporta.

Se i figli li fanno solo ricchi e vip

La cruda verità è che i figli oggi li puoi fare solo se sei molto benestante, ancora meglio ricco. Non a caso attori e vip sono diventati le nostre icone familiari. Le ragazze ammirano Chiara Ferragni perché in lei vedono il sogno che inseguono: forse non tanto il lusso esasperato, quanto la possibilità di curarsi, essere affascinanti, poter lavorare e guadagnare molto, avere dei figli, permettersi viaggi e sorprese costose al proprio compagno, mandare i figli a una scuola buona e così via. La possibilità di fare o non fare queste cose è oggi una manifestazione, forse la più crudele, delle nostre disuguaglianze. Che purtroppo crescono e cresceranno sempre di più: perché la società italiana si va impoverendo, perché i cambiamenti climatici colpiranno più il nostro Paese di altri, perché il nostro debito pubblico è ancora lì.

Che cosa dire allora alle madri di oggi e a quelle future? Cosa dire alle ragazze? Le soluzioni sono poche, i conflitti molti, ma il libro di Francesca Fiore e Sarah Malnerich suggerisce una strada. Che non è per nulla quella di fregarsene di tutto, o buttarla in caciara. Ma partire dalla consapevolezza dell’impossibilità, che non va mai abbandonata, per costruire nonostante tutto una propria, personale possibilità. Magari diversa da come la si immaginava. Magari meno idealizzata. E sempre accompagnate da uno strumento forse troppo sottovalutato persino dalle stesso madri: l’ironia.

Il mammamerdismo come orizzonte regolativo

Vale la pena dire da ultimo che il mammamerdismo proposto dalle autrici non significa che tutte debbano seguire la stessa strada. Il loro libro e il loro blog, pur partendo da esperienze e spunti di vita totalmente concreti, non suggerisce tanto una pratica ma un atteggiamento, un modo di essere, un orizzonte regolativo.

Potrai fare una torta perfetta, comprarla in pasticceria, puntare su una torta del supermercato o non portare alcuna torta ma sarai comunque una mammadimerda se qualsiasi tua azione e pensiero porta con sé un insieme di convinzioni ed emozioni: e cioè che viviamo in una società che esalta la madre tanto quanto la ostacola nel suo essere madre. Che dobbiamo smettere di pensare la nostra infelicità come un fatto privato, ma cominciare ad attribuirla all’assenza di aiuti, sostegni, asili, welfare. Che si può conciliare uno o più figli con un lavoro dipendente e ben pagato, ma non con il lavoro a cottimo o a partita Iva. Che anche i nostri legami sentimentali sono logorati dalle difficoltà esterne.

Sapendo tutto questo anche le emozioni possono cambiare, diventando più realistiche e dunque molto più funzionali. Poi gli ostacoli non mancheranno, anzi e neppure i conflitti. Ma avremmo almeno ripristinato la verità delle cose.

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