Diritti

Grazie ma non ci servi più

Un progetto per immagini, per dare voce a tutte le donne che hanno perso il lavoro a causa del Covid. È l’idea di Michela Zeppetella, oggi fotografa, che racconta qui come la pandemia abbia rafforzato le disuguaglianze di genere
"Grazie ma non ci servi più" è il progetto fotografico di Michela Zeppetella (2022).
"Grazie ma non ci servi più" è il progetto fotografico di Michela Zeppetella (2022).
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 maggio 2022 Aggiornato alle 09:00

Due anni fa Michela Zeppetella, organizzatrice di eventi e fotografa per passione, ha perso il suo lavoro a causa dello scoppio della pandemia. Dopo 15 anni nel mondo del turismo di lusso, nel marzo 2020 ha cambiato azienda, con la promessa di un contratto al termine di tre mesi di “prestazioni occasionali” pagate con ritenute d’acconto (la cui scadenza cadeva per l’appunto a marzo).

Ma con l’arrivo del Covid in Italia, si è ritrovata senza contratto, disoccupata e senza sussidi. È stata costretta a accettare diversi lavori per riuscire a pagare le bollette ma, soprattutto, per rimanere attiva mentalmente.

Dopo aver scoperto che molte altre donne si sono trovate nella sua stessa situazione, ha organizzato uno shooting fotografico per denunciare la precarietà lavorativa post Covid. L’invito era rivolto a entrambi i sessi ma, alla fine, hanno risposto solo donne.

Secondo i dati Istat, nel dicembre del 2020 (quindi dopo la fine del primo lockdown ma in un periodo in cui erano state imposte nuove chiusure) il numero di persone “inattive” era cresciuto tra le donne in fasce d’età tra i 15-24 e 35-49 anni, mentre era diminuito tra gli uomini e le restanti classi di età (nonostante il livello di occupazione del trimestre ottobre-dicembre 2020 fosse superiore dello 0,2% a quello del trimestre precedente).

«Oltre all’aumento del rischio di violenza domestica, [nel 2020] le donne hanno sofferto più degli uomini della perdita di posti di lavoro, oltre che di un peggioramento delle proprie condizioni lavorative dovute, tra l’altro, alle maggiori responsabilità di cura nel contesto familiare», si legge nel Bilancio di genere 2020.

«Essendo stata anche io una vittima e volendo dar voce a tutte queste donne che come me hanno perso il lavoro, ho organizzato un servizio fotografico dove le protagoniste sono proprio loro», ha spiegato Zeppetella. È nato così “Grazie ma non ci servi più”, una raccolta di foto di donne mascherate «che hanno creduto nella “loro” azienda, la stessa che oggi ha deciso che non vale più la pena investire sulla loro esperienza»; di donne che oggi si ritrovano «senza un volto, una meta, senza domande né risposte».

Tra queste, c’è C., 55 anni, dipendente di un’azienda per 22, dove è riuscita a ottenere molte soddisfazioni e a raggiungere importanti posizioni lavorative. Ora, però, è disoccupata perché il suo impiego avrebbe rappresentato un costo eccessivo per l’azienda. Ma non è stata la sola: la stessa società ha infatti licenziato altre donne, tutte madri, mentre sono rimasti a lavorare per la maggior parte uomini. C’è poi D. (45), che dopo anni di lavoro in uno studio di avvocati, è stata licenziata in seguito alla pandemia.

Ma non tutte le donne che hanno partecipato al servizio hanno perso il loro impiego per il Covid. Nel 2018, l’azienda di R. (50) ha registrato un calo nel fatturato e così lei è stata licenziata all’improvviso. «Il suo posto - ci racconta Zeppetella - è stato preso da unə parente dei proprietari dell’azienda». Un’altra donna le ha spiegato per messaggio che, a breve, lei e altre 163 dipendenti avrebbero perso il posto di lavoro.

In vista del 1° maggio, una giornata che ricorda e celebra le lotte per i diritti dei lavoratori, il progetto “Grazie ma non ci servi più” è riuscito a rappresentare la precarietà lavorativa nella quale oggi sempre più donne sono costrette a vivere.

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