Ambiente

Un ventennio di disastri ambientali (causati dall’uomo)

Un rapporto delle Nazioni Unite rivela che tra il 2001 e il 2020 le calamità naturali sono aumentate soprattutto a danno delle minoranze
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
27 aprile 2022 Aggiornato alle 09:00

Dal 2001 al 2020, la Terra ha subito tra i 350 e i 500 disastri ambientali l’anno causati dall’uomo. Entro il 2030 questo dato potrebbe salire a 560, con una media di 1,5 al giorno e un incremento del 40% rispetto al 2015. È quanto emerge dal rapporto annuale di valutazione globale stilato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di catastrofi (Gar 2022).

«Nonostante gli impegni per costruire la resilienza, affrontare il cambiamento climatico e creare percorsi di sviluppo sostenibile, le attuali scelte sociali, politiche ed economiche stanno facendo il contrario», si legge nel report.

Una situazione che rischia di compromettere gli obiettivi fissati dal Quadro di Sendai, un documento in linea con l’Accordo di Parigi e con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che è stato sottoscritto nel 2015 dagli stati membri dell’Onu allo scopo di ridurre i rischi legati alle catastrofi ambientali entro il 2030.

I dati rilevano in particolare che dal 2000 al 2030 gli eventi legati alla siccità subiranno una crescita di oltre il 30%, mentre quelli connessi alle temperature estreme sono prossimi a triplicare dal 2001 al 2030, con un impatto negativo sulla biodiversità e sulla sostenibilità ambientale.

Queste tendenze, sostiene la relazione dell’Undrr, «implicano che il mondo è destinato a superare il limite fissato dall’Accordo di Parigi», che vincola l’aumento delle temperature al tetto di 1,5 gradi Celsius.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, i cambiamenti climatici e gli impatti dei disastri ambientali causeranno la migrazione interna di 216 milioni di cittadini entro il 2050 e determineranno la povertà di 132 milioni di persone entro il 2030.

A scontare le conseguenze peggiori sono i Paesi in via di sviluppo, dove a essere vulnerabili sono circa 1 miliardo di persone che vivono in condizioni di povertà o emergenza abitativa.

«Non solo i Paesi in via di sviluppo più esposti hanno una quota trascurabile dei finanziamenti internazionali per prevenire disastri o mitigarne l’impatto, ma sono anche i meno assicurati, lasciando che a pagare il costo più alto siano i più poveri», commenta sul Guardian Mami Mizutori, rappresentante speciale del Segretario generale per la riduzione del rischio di catastrofi, che sottolinea come «le priorità del mondo non sono allineate a quelle di chi corre il rischio maggiore».

Ma a livello globale è significativo come i finanziamenti in caso di catastrofi costituiscano una parte relativamente piccola sul totale degli aiuti pubblici allo sviluppo.

Su un importo complessivo di 1,17 trilioni di dollari erogati nell’ultimo decennio (2010-2019), rivela lo studio, solo l’11% (133 miliardi di dollari) era correlato ai disastri ambientali, e appena lo 0,5% era connesso alle misure di riduzione preventiva del rischio.

La ricerca evidenzia inoltre come disastri e calamità naturali possano avere conseguenze ad ampio raggio sulle disuguaglianze strutturali o sociali già presenti, in modo analogo a quanto accaduto con gli effetti della pandemia da Covid-19.

A essere coinvolti sono anche i pregiudizi culturali che determinano discriminazioni etniche e disuguaglianza di genere. Nei Paesi ad alto reddito, si apprende dallo studio, le donne che hanno accesso individuale ai finanziamenti in caso di emergenza rappresentano il 66% contro il 72% degli uomini.

Gli indicatori relativi agli Obiettivi di sviluppo sostenibile, inoltre, mostrano «correlazioni statisticamente significative tra la violenza di genere e l’incidenza dei disastri». Le donne sono anche le maggiori vittime della tratta di esseri umani, un altro impatto sociale indiretto determinato dalle emergenze ambientali.

«I settori della politica, della finanza e dello sviluppo devono iniziare a investire in una riduzione inclusiva del rischio, in particolare nei paesi più colpiti», conclude Mami Mizutori. «Solo così potremo proteggere i più vulnerabili salvaguardando i guadagni sociali ed economici realizzati in tutto il mondo».

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