Futuro

Una proposta di legge contro l’ostracismo digitale

Internet non è quello spazio di libertà che avevamo ipotizzato. Le big tech dettano la dieta mediatica e decidono quali contenuti ammettere o condannare. Ecco perché la proposta di “Legge Carelli”, che vuole garantire agli utenti un processo di revisione, è importante
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24 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

Diciamo la verità e diciamola tutta d’un fiato come si fa con quei pensieri che la ragione propone come incontrovertibili mentre anima e cuore vorrebbero respingere: Internet avrà anche mantenuto la sua promessa di offrirci straordinarie opportunità e di migliorare le nostre vite, ma non anche quella di rappresentare la più grande agorà pubblica della storia dell’umanità nella quale chiunque può dire quello che pensa.

Insomma, oggi, grazie a Internet, al mondo c’è indiscutibilmente più spazio che in passato per la condivisione di idee, pensieri e opinioni ma Internet non è quello spazio di libertà che in molti avevamo ipotizzato sarebbe stato.

Alla fine le regole del mercato hanno avuto la meglio e si sono imposte sulle nostre Costituzioni e gli oligopoli delle big tech hanno trasformato la sterminata prateria delle idee di un tempo in una sequela di enormi giardini privati i cui proprietari decidono chi ha diritto di parola e chi non ce l’ha, cosa si può dire e cosa non si può.

Oggi le GAFAM – Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft – dettano, nella sostanza, la dieta mediatica globale.

Sono loro che decidono quali post, contenuti, video e immagini tra i miliardi quotidianamente pubblicati dai loro utenti restano online e quali condannare al sempiterno oblio.

E decidono allo stesso modo se e quando condannare uno qualsiasi dei loro utenti all’ostracismo digitale come è accaduto lo scorso anno a Donald Trump, all’epoca, anche se ancora per poco, addirittura Presidente in carica degli Stati Uniti d’America.

Casi eccellenti a parte, la storia si ripete, ormai da tempo, con una certa frequenza e, anzi, accade, forse, sempre più spesso.

Un utente pubblica un post, una storia, un contenuto qualsiasi su una piattaforma social e il gestore della piattaforma lo cancella considerandolo, a torto o a ragione, contrario ai termini d’uso della piattaforma, il contratto che ciascuno di noi – normalmente senza neppure leggerlo – firma al primo accesso alla piattaforma.

Se si è fortunati il gestore della piattaforma informa dell’avvenuta rimozione del contenuto, appunto per violazione dei termini d’uso. A quel punto, con poche eccezioni, si può scrivere ciò che si vuole al gestore della piattaforma ma difficilmente il proprio contenuto tornerà online. Il nostro pensiero, la nostra opinione, la nostra denuncia, magari anche espressi in maniera un po’ rude, talvolta ineducata, a volte decisamente sopra le righe sono condannati al sempiterno oblio.

E qualche volte capita persino di farla così grossa, almeno per il gestore della piattaforma, che si viene condannati all’ostracismo digitale: fuori per sempre dal social in questione, senza nessuna speranza di revisione della decisione.

È un problema di scottante attualità specie mentre Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, annuncia di voler comprare il 100% delle azioni di Twitter tra l’altro proprio per rendere il social network più rispettoso della libertà di parola, rivedendo, tra l’altro, proprio le regole sulla moderazione dei contenuti.

E si tratta proprio nel problema che una proposta di legge, da poco presentata dall’On. Emilio Carelli (Coraggio Italia) vorrebbe ora provare se non a risolvere almeno a limitare.

Se la proposta diventasse legge, infatti, imporrebbe ai gestori delle piattaforme social di garantire a tutti i loro utenti un vero e proprio procedimento interno di revisione della decisione di cancellazione di un contenuto o di ostracismo digitale e, in caso di esito infruttuoso di tale procedimento, il diritto di ricorrere a un Giudice per, eventualmente, ordinare alla piattaforma la ripubblicazione del contenuto o la riammissione dell’utente ostracizzato.

E, naturalmente, i gestori delle piattaforme dovrebbero informare puntualmente gli utenti di tali loro diritti e correrebbero il rischio di incorrere in sanzioni milionarie commisurate al loro fatturato qualora rimuovessero contenuti che avrebbero meritato di restare online o ostracizzassero ingiustamente utenti che avrebbero meritato di continuare a partecipare al dibattito globale.

A scorrere la proposta di legge viene quasi da meravigliarsi che le cose non stiano già così. Dovrebbero esserlo, in effetti. Nessun soggetto privato dovrebbe potersi arrogare il diritto di condannare all’oblio un contenuto di chicchessia o, addirittura, di privare chicchessia del diritto di accedere a piattaforme che sono, in molti casi, diventate, per dimensioni e natura globale, autentiche essential facilities democratiche senza le quali è difficile, per non dire impossibile, esercitare una libertà come quella di parola.

Eppure, oggi non è così.

E vale la pena dirlo chiaro per evitare ogni genere di ambiguità: la “colpa” di questo stato di cose è distribuita tra i gestori delle piattaforme e i Governi di mezzo mondo. I primi potrebbero, certamente, prendere più sul serio il diritto di chiunque di noi di usare i loro megafoni digitali per comunicare con il mondo il nostro pensiero.

Ma i secondi, specie negli ultimi anni, hanno in misura sempre crescente, messo nell’angolo i primi considerandoli responsabili dei contenuti pubblicati dai loro utenti e così facendo li hanno spinti a ergersi a arbitri della dieta mediatica globale spesso sostituendosi a Giudici e Autorità nel decidere cosa è esercizio della libertà di parola e cosa ne rappresenta un abuso.

Insomma, varrebbe davvero la pena che il Parlamento discutesse della proposta di Legge Carelli anzi, varrebbe la pena ne discutessimo tutti insieme perché siamo a un bivio importante dal quale dipende, in buona misura, il futuro nostro e delle nostre democrazie.

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