Ambiente

L’impatto della cocaina sull’ambiente

Dalla deforestazione alle sostanze inquinanti dei fiumi, dall’uccisione dei difensori della natura alla perdita di biodiversità. Così la produzione di cocaina disegna un futuro nero per gli ecosistemi
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13 aprile 2022 Aggiornato alle 13:00

Per l’ambiente l’effetto della polvere bianca è un futuro nero. Mentre in tutto il Pianeta si stanno inseguendo nuove politiche di conservazione e di protezione della biodiversità, il mercato illegale della cocaina continua nel silenzio ad andare nella direzione opposta: deforestando, consumando suolo, inquinando e dimezzando la biodiversità nelle zone in cui viene prodotta la droga e nascono nuove rotte della coca aperte dai narcotrafficanti, i quali senza scrupolo continuano anche a uccidere centinaia di difensori dell’ambiente che si mettono di mezzo.

Sulla rivista Mongbay è stato di recente pubblicato un lungo articolo che prova a raccontare l’impatto del traffico di droga e della produzione di cocaina sull’ambiente. Oggi, circa 20 milioni di persone consumano cocaina, soprattutto in Nord America ed Europa (dati 2019). Dopo i primi anni Ottanta, in cui le piante di coca venivano lavorate soprattutto in Perù e Bolivia, oggi larga parte della produzione avviene in Colombia. Qui, come in altre aree del Sudamerica, la richiesta di coca sta portando a una serie di condizioni estremamente preoccupanti per l’ambiente. Esiste infatti un problema di deforestazione delle foreste tropicali, ma anche impatti sugli ecosistemi e i fiumi, così come danni ad alcune specie. Sono già stati documentati, per esempio, gli impatti dell’inquinamento generato dalla lavorazione della coca su anguille e altre specie acquatiche, così come la lunga serie di tributi - spesso in termini di vite - che hanno dovuto pagare i popoli indigeni, coloro che tentano di salvaguardare aree oggi diventate corridoi dei narcos.

Parallelamente anche le strategie di contrasto delle forze dell’ordine messe in campo finora in alcune aree per esempio della Colombia, come irrorare con sostanze chimiche le zone delle colture delle piante di coca nel tentativo di sradicare il traffico, hanno causato nel tempo sempre più danni alle foreste e la biodiversità. Solo in Colombia le stime legate al consumo di suolo e le coltivazioni per la cocaina appaiono molto complesse. Per l’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite contro droga e crimine) nel 2020 sono stati utilizzati 143.000 ettari per far spazio alle coltivazioni di coca, un calo rispetto agli anni precedenti sebbene grazie a nuovi laboratori, tecnologie e tecniche, si è prodotto comunque l’8% in più di droga (circa 1300 tonnellate).

Più alte invece le stime dell’Office of National Drug Control Policy che parla di quasi 250.000 ettari coltivati a coca nello stesso periodo in una Colombia che oggi ospita quasi il 10% della biodiversità terrestre.

A livello di deforestazione, nel 2020 sono spariti quasi 13.000 ettari di foreste per sostenere la coltivazione della coca, pari a quasi l’8% di tutti i 170.000 ettari deforestati nel Paese tra legname, espansione agricola, coltivazioni varie e altre attività. Nei casi delle piantagioni di coca, nel raggio di un chilometro rispetto ai siti di produzione si registrano inoltre profondi tagli e cambiamenti del suolo per far spazio a infrastrutture necessarie ai cartelli, tra le quali anche piste di atterraggio clandestine.

Oltre alla deforestazione la produzione della pasta di coca porta poi al rilascio di diverse sostanze chimiche e tossiche in ambiente e soprattutto nei fiumi si trovano tracce di acido solforico, acetone, benzina, per esempio. Per un solo chilo di coca si stima che possano essere necessari anche 80 litri di benzina, prima di passare alla raffinazione. Alcune stime suggeriscono anche che fino a 3,5 milioni di tonnellate di sostanze chimiche per ettaro all’anno finiscono in natura con conseguente inquinamento delle acque. In più, c’è una lunga serie di insetticidi, pesticidi e fungicidi vari utilizzati per preservare le coltivazioni che hanno un impatto devastante sui territori per esempio amazzonici. A questo va aggiunto anche che una piccola percentuale (ma in aumento) delle coltivazioni di coca avviene in parchi e aree che dovrebbero essere protette, fattore che per gli esperti significa minaccia per la biodiversità.

Di recente anche lo IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) ha ricordato come le attività collegate alla produzione di cocaina in Colombia stiano portando alla frammentazione degli habitat aumentando il rischio di estinzione per diverse specie di uccelli, come i falchi, oppure i tucani. Sia la produzione di coca sia quella illecita del cacao in aree protette stanno impattando sulla salute della natura, e condizioni simili si stanno verificando oggi anche nell’Amazzonia peruviana e diverse aree dell’Ecuador, Nicaragua, Honduras e il Guatemala, oltre al Messico.

Studi condotti dalla dottoressa Kendra McSweeney della Ohio State University raccontano come ci siano numerose sottostime dei legami fra traffico di coca e il cambiamento dell’uso dei suoli, tanto che è necessario parlare proprio di “narco-deforestazione” e “narco-degradazione”. In alcuni casi, per esempio, terre utilizzate per i traffici illeciti vengono poi convertite a pascoli per il bestiame in attività che fungono da riciclo del denaro sporco. In Guatemala e Honduras le perdite forestali sostenute su larga scala di oltre 700.000 ettari e 420.000 ettari sono legate a “aree soggette a spostamenti di controllo verso grandi proprietari terrieri, spesso legati al narcotraffico” si legge nelle ricerche. Situazione che oggi preoccupa due realtà, quelle di Costa Rica e Panama, zone che stanno diventando nodi del traffico di coca sempre più importanti (lì l’80% dei sequestri di droga in America Centrale nel 2021).

Sempre in centro America, si teme poi l’impatto ambientale dei narcos messicani sulla sovrapesca e le specie selvatiche. Più a sud invece, al confine tra Panama e Colombia, altri rischi ambientali collegati alle operazioni dei cartelli si legano oggi a doppio filo anche all‘estrazione mineraria, con tutte le conseguenze immaginabili dell’inquinamento di terre e fiumi, oggi sotto pressione per esempio per il rilascio di mercurio.

Tutti questi danni stanno contribuendo a mutare biodiversità dei territori in cui si produce la coca, mentre i problemi ambientali di dove viene consumata - come negli Usa o l’Europa - appaiono meno visibili, ma ci sono. Per esempio nei corsi d’acqua e nelle acque reflue, a causa di quella consumata e poi rilasciata tramite urine, vengono trovate sempre più tracce di cocaina, di sostanze chimiche e metaboliti collegati.

A oggi, ci sono ancora pochi studi completi sull’impatto ambientale della cocaina, dalla produzione e deforestazione fino alle sostanze che finiscono nelle acque reflue, in grado di tracciare i potenziali danni nel tempo, o un quadro completo sulle minacce future. Alcuni studi, come per esempio quelli italiani della professoressa Anna Capaldo dell’Università di Napoli Federico II, si sono concentrati sull’effetto della cocaina sulle specie, in questo caso le anguille, raccontando come le sostanze che finiscono nei fiumi possono impattare negativamente sulla vita di questi animali, con ricerche che ora si stanno concentrando anche sugli effetti di riproduzione o funzione cerebrale.

In generale, la maggior parte dei ricercatori oggi sottolinea che nonostante le conoscenze sugli impatti della polvere bianca sull’ambiente stiano aumentando, siamo ancora “all’inizio” di “una escalation” continua dei possibili effetti di questa sostanza sulla salute del Pianeta.

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