Diritti

Il Papa può contribuire alla pace in Ucraina?

Un possibile viaggio di Papa Francesco a Kyiv potrebbe avere importanti sviluppi diplomatici, un’alternativa allo “stallo” dell’ONU e alle difficoltà della Unione Europea. Come spiega qui la professoressa di Filosofia politica della Bicocca di Milano
Papa Francesco con la bandiera ucraina a Roma.
Papa Francesco con la bandiera ucraina a Roma.
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10 aprile 2022 Aggiornato alle 08:00

“Sta vincendo lo schema di guerra, non quello di pace. Siamo tutti colpevoli”. Sono le parole accorate di Papa Francesco, che fin dall’inizio della guerra in Ucraina non ha mai smesso di invocare la pace. Di ritorno dalla visita a Malta, le parole di Francesco non potevano che riandare alle stragi perpetrate nell’Europa occidentale e orientale: dai naufragi nel Mar Mediterraneo che, divenuto un cimitero a cielo aperto, negli ultimi anni ha inghiottito nelle sue acque oltre 20.000 persone, fino ai massacri (difficili addirittura da concepire) che stanno sconvolgendo le città ucraine, invase e distrutte, ridotte a cenere assieme ai corpi insepolti di civili inerti e alle vite troncate di intere famiglie.

Fin dallo scoppio dell’invasione, la vicinanza di Francesco al popolo ucraino e alle persone sotto assedio, di qualunque religione esse siano, non è mai cessata. Durante l’Udienza Generale di mercoledì 6 aprile, Francesco ha brandito il simbolo di un’unità spezzata, baciandola: “Questa bandiera viene dalla guerra, proprio da quella città martoriata, Bucha”. E il ricordo degli orrori continuerà nella memoria collettiva.

Il Papa ha poi aggiunto, “dopo la seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, ma purtroppo – non impariamo – è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti. E, nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite”. Nuove logiche nazionaliste si affermano a scapito dei bisogni di popolazioni sofferenti. Francesco attacca così l’idea di “geopolitica”, dove “la logica dominante è quella delle strategie degli Stati più potenti per affermare i propri interessi estendendo l’area di influenza economica, o influenza ideologica o influenza militare: lo stiamo vedendo con la guerra”. La connessione tra volontà di potenza, economica, ideologica e militare ha di fatto sempre rappresentato il principale volano e quel denotare che fa da miccia a ogni guerra, che si protrae attraverso le generazioni con odi perduranti nel tempo.

Le parole del Papa non possono essere dunque intese solo come semplici messaggi spirituali a difesa dell’intera umanità, contro ogni forma di violenza. Si tratta in realtà di chiari messaggi politici di tipo pragmatico, rivolti tanto al crudele cinismo degli Stati nazionali, quanto all’impotenza dell’organismo sovranazionale per eccellenza: l’Organizzazione della Nazioni Unite. La stessa Santa Sede fa parte dell’ONU dal 1964 con lo status di “Osservatore Permanente di Stato non membro”, un ruolo che le permette di esercitare una certa influenza su documenti in discussione, partecipare a conferenze mondiali, collaborare – con anche numerose criticità - con gli altri Stati membri.

Cosa ha voluto dunque significare il Papa nella sua critica all’ONU?

L’ONU era stato fondato nel 1945 per rafforzare la “pace universale”, dopo le atrocità perpetrate nella seconda guerra mondiale. Il suo fine è: “mantenere la pace e la sicurezza internazionale”; “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli”; “conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale o umanitario”. Nessuno di questi principi sembra essere stato rispettato nella presente crisi ucraina.

L’ONU riconosce altresì il principio della sovranità e integrità territoriale, per cui la guerra in Ucraina è evidentemente “illegale”, in quanto guerra d’aggressione, che come tale potrà dare origine a commissioni per il riconoscimento di eventuali crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidi. Raccogliendo prove ineluttabili da parte di sopravvissuti e testimoni si potranno perseguire militari, politici e civili implicati. L’unico tipo di guerra “legale” ovvero, costituzionalmente ammessa, è la guerra di difesa (armata), se aggrediti.

Tale situazione esprime le difficoltà implicite in un organismo inter-governativo che nel nostro caso dovrebbe decidere sanzioni contro uno dei suoi potenti membri (la Federazione Russia), che dispone per altro del diritto di veto. L’ONU esprime qui i limiti della sua stessa conformazione, connessa alle decisioni dei suoi membri, ovvero gli Stati nazionali, spesso implicati in una serie di violazioni dei diritti umani. Eppure senza ONU le relazioni internazionali sarebbero andate anche peggio e ancor oggi non se ne può fare a meno.

Nel Novecento, gli interessi nazional-imperialisti degli Stati sono stati cause delle due guerre mondiali, così come i tentativi di superarne le conseguenze sono state alla base della costituzione di organizzazioni sovranazionali. La Società delle Nazioni, fondata nel 1919 nell’ambito della conferenza di pace di Parigi, non era stata in grado di fermare il primo conflitto mondiale. La Società sarà sostituita a seguito della fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che si è tuttavia dimostrata incapace di fermare guerre e genocidi, neppure alla presenza di caschi blu, come accaduto in Ruanda e nella Bosnia Erzegovina all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso.

Molti sono stati i tentativi di riformare l’ONU, senza grandi successi. Flebili sono i segnali per cambiare il passo di un fragile gigante. Il 5 aprile l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, con 141 i voti a favore, 5 contrari (Eritrea, Corea del Nord, Russia, Bielorussia, Siria) e 35 gli astenuti (tra cui Cina e India). Il 7 aprile – eventualità mai accaduta prima - l’ONU ha sospeso la Russia dal Consiglio dei diritti umani con 93 Paesi a favore, 24 contrari e 58 astenuti. Ma una vera riforma dell’ONU sarà forse possibile, solo se la Russia uscirà sconfitta dalla guerra in Ucraina. Per il resto ci saranno compromessi.

Proprio per la convinzione che la guerra sia sempre determinata dagli interessi di Stati nazionali, nel documento Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto – scritto nel 1941 mentre erano al confino a Ventotene - Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi avevano auspicato la creazione di un’Europa unita, fondata sui cittadini. Ma l’attuale Unione Europea non è si è ancora costituita come una coesa unità politica, da cui consegue anche la mancanza di una politica di sicurezza comune e un vero potere negoziale.

L’attuale crisi bellica mette dunque in luce la carente influenza delle diplomazie, che si sono dimostrate incapaci di prevenire l’allargamento di una guerra, per altro annunciata, iniziata nel 2014. Flebile è dunque al momento l’intervento delle diplomazie tanto sovranazionali (dall’ONU alla UE), quanto nazionali, che stanno a guardare o si muovono in ordine sparso: i negoziati erano stati prima tenuti sul territorio della Bielorussia filo-putiniana e ora stanno avvenendo in Turchia, Paese conosciuto per la mancata tutela dei diritti umani e per i vasti interessi geo-politici. Le diplomazie sono in stallo per veti incrociati, in attesa di un difficile sblocco delle posizioni polari dei governi ucraino e russo, a fronte dello strazio di migliaia di vittime.

Accanto a diplomazie in difficoltà, siede il “convitato di pietra”, la cui presenza sui diversi tavoli negoziali viene avvertita per la sua assenza. Si tratta di quello che Bobbio chiamava il “terzo assente”, ovvero un potere «terzo», democratico e super-partes, capace di democratizzare il sistema internazionale, di prevenire la violenza e di affrontare i conflitti in nome della pace. Ma questo terzo ancora manca.

In questo nuovo orizzonte del diffuso disordine mondiale, emerge con chiarezza la regressione di una cultura politica democratica, con l’affievolimento del potere deliberativo dei parlamenti occidentali, la polarizzazione dell’opinione pubblica rafforzata dall’uso dei social media che costruiscono realtà fittizie, l’accresciuta influenza di nuove potenze politico-economico-militari nell’Est del mondo, l’irrobustimento di nuovi sistemi autoritari e coercitivi.

In questa complicata e spinosa situazione, come può essere inteso il ruolo della diplomazia papale?

Questa domanda viene posta, pur conoscendo bene le numerose problematicità della politica vaticana, ma volendo tuttavia nel presente contesto prendere in considerazione eventuali potenzialità negoziali, che potrebbero rivelarsi preziose per la cessazione della guerra. Pertanto, accanto ai numerosi dibattiti sul rifornimento di armi a difesa della popolazione attaccata, sugli aiuti umanitari, sul ruolo della Nato, sul progressivo riarmo delle nazioni, sulla paura atomica, sulle difficoltà di Putin nel conseguire gli originari obiettivi della cosiddetta “operazione speciale”, sul ruolo ambivalente degli Stati e degli organismi/ alleanze sovranazionali, è possibile formulare la seguente domanda che può apparire ingenua, se non addirittura inappropriata da un punto di vista laico e costituzionale? Ovvero, quale tipo di diplomazia o “sfera di influenza” potrebbe esercitare il Papa per contribuire a sviluppare piani per la pace?

In effetti, il Vaticano pratica da sempre a livello mondiale una forma di diplomazia multilivello, al tempo stesso formale e informale. Vi è la diplomazia spirituale della presenza esemplare (come a esempio, la disponibilità del Papa a recarsi a Kiev), politica (come parte del sistema ONU), inter-religiosa (con il dialogo con le altre religioni a livello sia apicale che comunitario), umanitaria (con il sostegno ai sopravvissuti e le offerte dell’elemosiniere), associativa (con i diversi gruppi della società civile impegnati, come la Comunità di Sant’Egidio che ha firmato con l’ONU un accordo di collaborazione per la pace e la soluzione pacifica dei conflitti).

Un possibile viaggio del Papa in Ucraina potrebbe avere importanti sviluppi con la visita a luoghi, sopravvissuti e rappresentanti istituzionali. Il dialogo interreligioso può forse contribuire ad aprire un qualche spiraglio per i negoziati. Ma mentre il dialogo con la comunità ebraica, di cui peraltro il presidente Zelenskyj fa parte, non sembra presentare difficoltà, appare invece complesso il rapporto con la Chiesa ortodossa, per altro in conflitto al proprio interno, tesa com’è fra la tradizione slava e la prospettiva ellenica (come esplicitata dalla subitanea reazione del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo contro la guerra). Ma mentre trecento preti e diaconi hanno sottoscritto in Russia una lettera aperta contro la guerra, la posizione del patriarca Kirill I (ex-membro del KGB), sembra precludere qualsiasi possibilità negoziale.

Gli ultimi interventi del patriarca di Mosca di Mosca e di tutte le Russie hanno infatti indicato un’assoluta assonanza con la visione politica di Putin, nel ricreare l’immagine fittizia di una grande Russia (Russki mir) contro i “valori” dell’Occidente, con il risultato di costituire uno Stato repressivo ultranazionalista di tipo neo-confessionale, nella connessione fra politica militare e religione imperiale.

Ma – pur tenendo conto delle numerose problematicità che hanno accompagnato la storia del Vaticano e pur considerando le notevoli difficoltà religiose, politiche e logistiche che il viaggio potrebbe comportare, tuttavia la funzione e l’eventuale presenza del Papa in Ucraina potrebbe contribuire a promuovere una pratica diplomatica alternativa, a più livelli e integrata, dove il piano formale possa interagire con la molteplicità di reti informali, capaci di sviluppare un’azione comune assieme ad altri soggetti istituzionali, interessati alla tregua e alla cessazione della guerra. In tal modo si potrebbero prospettare possibili vie per una ricostruzione materiale e morale, prevenendo conflitti bellici, a fronte di nuovi appetiti politico-economico-militari. Perché la pace non rimanga un’utopia, un flatus voci o una semplice aspirazione spirituale.