Ambiente

Ritorno al nucleare: Salvini rilancia l’idea di un nuovo referendum

Il vicepremier, dopo il ministro dell’Ambiente, insiste sulla necessità di un futuro atomico per l’Italia. I cittadini sembrano più aperti a questa possibilità. Ma non vogliono il deposito scorie né le centrali troppo vicini a casa
Credit: ANSA/ANGELO CARCONI  

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17 aprile 2024 Aggiornato alle 14:00

Esattamente un anno fa - non senza timori per l’approvvigionamento energetico futuro - la Germania dava notizia della chiusura degli ultimi tre impianti nucleari del Paese.

In Italia invece - mentre in altre parti d’Europa (vedi Francia) e del mondo (vedi Cina) si continua a puntare su questa tecnologia - la questione di un futuro a energia atomica sembra prendere sempre più piede.

Dopo mesi di aperture, di istituzioni di commissioni e di dibattito, il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ieri ha annunciato di portare presto in Cdm il dossier sul nucleare in Italia e di voler proporre un referendum per riaprire le porte a quel nucleare che da noi fu abbandonato grazie al referendum abrogativo del 1987.

L’atomico in Italia è «di diretta competenza di altri, ma voglio accompagnarlo» perché «il 2024 sia l’anno della scelta e della responsabilità. Con qualche mugugno di fondo, che non manca mai, ma non possiamo più essere interessati spettatori; dobbiamo essere protagonisti in prima linea», ha detto Salvini parlando al convegno Il nucleare italiano nella sfida al cambiamento climatico a Pavia.

Il referendum, spiega, «lo farei anche domani mattina. Se si vogliono abbassare le bollette dei cittadini e delle imprese il nucleare è un dovere: i francesi pagano la luce, a casa, il 30% in meno e le imprese il 50% in meno. Da vicepremier conto di riuscire a portare in Consiglio dei ministri il dossier. Se servisse un passaggio referendario sono il primo a proporre una raccolta firme», ha ribadito il vicepremier che spinge «affinché il governo italiano anche su questo superi le perplessità esterne ed entri a pieno titolo non come osservatore ma da membro permanente ai tavoli internazionali sull’energia nucleare».

Diverse le reazioni alle parole di Salvini. Da una parte il fronte verde e ambientalista parla di sperpero di soldi pubblici con Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra che afferma come l’idea di Salvini «non ci spaventa e siamo sicuri che, per la terza volta, i cittadini italiani sarebbero con noi. E visto che ci siamo, facciamolo anche sul Ponte sullo Stretto di Messina il referendum. Questo è un continuo sperpero di soldi pubblici: ci spieghi con quali soldi finanzierà il nucleare visto che 1 GW costa oltre 11 miliardi di euro e lui vuole già spendere 14 miliardi di euro per un ponte che nessuno ha costruito al mondo, mentre le ferrovie regionali e il trasporto pubblico italiano sono un colabrodo».

Dall’altra parte però ci sono anche diverse aperture che sembrano, in parte, essere accompagnate anche dal Paese.

Un recente sondaggio Swg (presentato proprio a Pavia) indica che “oltre la metà degli italiani sarebbe favorevole all’implementazione delle nuove tecnologie nucleari in Italia”.

Una possibilità concessa ai reattori di ultima generazione, quelli che oltre a grandi costi richiederebbero comunque lunghi tempi per la costruzione (difficile ipotizzarli a regime prima del 2040).

Per il sondaggio il 57% degli italiani sarebbe favorevole già all’implementazione di reattori dell’attuale generazione (3+), il 61% a quelli di quarta generazione, il 61% ai piccoli reattori modulari, il 60% ai microreattori.

Pochi però quelli che accetterebbero il nucleare vicino a casa: il 59% acconsente alle centrali ma solo se costruite a 500 chilometri di distanza (per quello tradizionale), oppure a venti chilometri (il 44%) per i mini reattori.

Al netto del fatto che Salvini per esempio non spiega né le modalità del referendum, né dove sarebbero fatti gli impianti, né per esempio i possibili problemi relativi al reperimento dell’uranio (che scarseggerà in futuro vista la domanda), il tema sollevato dal vicepremier piace a diversi attori, industriali e non, che guardano all’atomico come una importante opportunità, a sua volta già rilanciata da mesi a esempio dal ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che sul nucleare spinge sull’acceleratore.

Secondo Edison le competenze per ripartire con la fissione ci sono.

«Le competenze nella filiera si sono mantenute, a partire da quelle a livello universitario e anche dall’estero ci guardano», ha detto il ceo Nicola Monti. Anche in Sogin, secondo il ceo Gian Luca Artizzu, «abbiamo tutte le competenze per la manutenzione in stato di efficienza delle centrali nucleari e al nostro interno sono presenti moltissime delle competenze che servono per ripartire. Noi non fabbrichiamo reattori, ma con un’alleanza con un’azienda estera saremmo pronti, o quasi pronti, per far ripartire le centrali già con le nostre maestranze. Dopo lo stop referendario degli anni Ottanta serve un contesto normativo che lo consenta. I problemi tecnologici sono tutti risolvibili», spiega il ceo nelle parole riportate dal Corriere.

Se come dice Sogin le competenze ci sono, discorso diverso è invece per il luogo. In Italia infatti ancora oggi resta un problema irrisolto che va avanti da decenni: non è ancora stato individuato il luogo che ospiterà il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, parte dei quali attendono di essere gestiti da tantissimi anni. Nessun Paese - vedi il ritiro dell’autocandidatura di Trino Vercellese - sembra volerlo.

Quali saranno invece i luoghi in cui realizzare le nuove centrali ipotizzate da Salvini?

Domanda alla quale forse, amministrazioni e cittadini, in caso di un ritorno del nucleare in Italia potrebbero dare una possibile risposta solo a patto che si faccia più informazione sull’atomico.

Lo stesso sondaggio Swg chiosa infatti ricordando come tre italiani su quattro, in una percentuale che oscilla tra il 74% e il 77% a seconda delle domande, chiedono una maggiore informazione e comunicazione sul tema.

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