Diritti

L’Arabia Saudita guiderà la commissione Onu per i diritti delle donne

Nessun parere contrario alla nomina dell’ambasciatore Abdulaziz Alwasil che, per i prossimi due anni, promuoverà l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile. Intanto nel Paese le libertà delle cittadine continuano a essere negate dal “sistema del guardiano”
<b>Abdulaziz Alwasil</b>
Abdulaziz Alwasil Credit: Bianca Otero/ZUMA Press Wire 
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29 marzo 2024 Aggiornato alle 10:00

In occasione della riunione annuale sullo status delle donne nel mondo tenutasi mercoledì 27 marzo a New York, l’Arabia Saudita ha ottenuto la presidenza della commissione delle Nazioni Unite per i diritti delle donne. Nonostante l’ampio divario tra i diritti di uomini e donne nel Paese, l’Arabia Saudita è stata scelta per promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile a livello globale per i prossimi due anni.

L’ambasciatore saudita presso le Nazioni Unite, Abdulaziz Alwasil, è stato eletto presidente della Commissione sullo status delle donne (Csw) per “acclamazione”. Nei confronti di questa nomina infatti non è stato espresso alcun parere contrario e nessun altro Stato si è candidato per lo stesso ruolo.

“Chiunque sia alla presidenza, che ora è l’Arabia Saudita, è in una posizione chiave per influenzare la pianificazione, le decisioni, il bilancio e lo sguardo al futuro, in un anno critico per la commissione - ha commentato Amnesty International - L’Arabia Saudita è ora al timone, ma i risultati ottenuti (dal Paese, ndr) in materia di diritti delle donne sono pessimi e ben lontani dal mandato della commissione”.

Nello Stato è ancora in vigore il “sistema del guardiano” che impone alle donne di dipendere da un tutore maschile con la funzione di “protettore”. Coloro che difendono i diritti umani e quelli delle donne subiscono inoltre arresti, dure persecuzioni e restrizioni alla loro libertà di espressione. Gli ultimi casi riguardano alcune giovani donne che devono affrontare gravi accuse per aver espresso online il proprio parere nei confronti della discriminazione di genere.

Nel gennaio 2023, Salma al-Shehab, dottoranda dell’Università di Leeds, è stata condannata per terrorismo a 27 anni di carcere, seguiti da ulteriori 27 anni di divieto di viaggio, per aver aver seguito e condiviso i messaggi di dissidenti e attivisti per i diritti delle donne su X. Limitare gli spostamenti è una delle pratiche più utilizzate dall’Arabia Saudita nei confronti delle dissidenti, così come la tortura e l’incarcerazione preventiva.

Dopo essere stata detenuta per un anno e mezzo, un’altra donna, l’attivista Manahel al-Otaibi, si trova al momento sotto processo per aver scritto tweet a favore dei diritti delle donne e aver pubblicato una sua foto su Snapchat senza indossare la veste tradizionale chiamata “abaya”.

La legge “sullo status personale” della donna saudita entrata in vigore nel 2022 prevede che la moglie debba obbedire al marito in “maniera ragionevole”. La mancanza di questa obbedienza, così come il rifiuto di avere rapporti sessuali con lui, di vivere nella casa coniugale o di viaggiare insieme a lui senza una “scusa legittima” possono giustificare la revoca del sostegno finanziario del marito nei confronti della moglie, come previsto dalla legge.

Secondo quanto riportato da Amnesty International nel suo rapporto Manifesto della repressione, una nuova bozza di codice penale del Governo saudita prevede di garantire l’immunità penale agli autori dei cosiddetti “delitti d’onore”, non criminalizza lo stupro coniugale e punisce i rapporti sessuali consensuali tra uomini adulti così come il sesso al di fuori della matrimonio.

Anche per questo, per Louis Charbonneau, direttore delle Nazioni Unite presso Human Rights Watch, «l’elezione dell’Arabia Saudita a presidente della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne mostra uno scioccante disprezzo per i diritti delle donne ovunque».

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