Ambiente

Crisi climatica: che mondo sarebbe senza primavera?

Alcuni esperti dell’Università degli studi di Milano e del Cnr-Iret hanno ipotizzato cosa comporterebbe l’assenza della stagione. Quali sarebbero gli impatti sugli ecosistemi?
Credit: micheile henderson 

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27 marzo 2024 Aggiornato alle 14:00

Che mondo sarebbe senza primavera? Durante questa stagione, la natura si risveglia con un ritmo inarrestabile di amori, nascite e fioriture. Ma proviamo a pensare se, per un istante, ci trovassimo in un mondo senza primavera: un’ipotesi, questa, che è apparentemente surreale ma mette bene in luce l’importanza di questa stagione nel nostro ecosistema.

E no, non è solo fantasia, ma una realtà che emerge dalle ricerche scientifiche sul cambiamento climatico. Ma prima di capire quali potrebbero essere le conseguenze dell’assenza delle mezze stagioni è necessaria una premessa: la primavera esiste solo nelle medie latitudini. Mentre astronomicamente è determinata dalla posizione della Terra nella sua orbita attorno al Sole, dal punto di vista meteorologico si tratta di un ciclo annuale di temperature che segnano il passaggio dal freddo all’incalzare del caldo.

Un mondo senza mezze stagioni

Immaginiamo dunque che nelle regioni temperate la primavera scompaia a causa dei cambiamenti climatici: questo ci porta a un primo scenario, un clima più simile a quello tropicale. «Per le nostre regioni, potremmo immaginare un clima mediterraneo estremo, con estati aride e inverni miti e piovosi», spiega Marco Caccianiga, docente di botanica all’Università di Milano.

E, in questo contesto, potremmo perdere lo spettacolo primaverile della fioritura esplosiva di alberi e prati: le fioriture – ipotizza Piero Morandini, docente di fisiologia vegetale all’Università di Milano – potrebbero essere più diluite nel corso dell’anno, similmente a quanto avviene nei tropici, dove molte piante fioriscono in diversi periodi distribuiti su più mesi.

Per le piante, infatti, la primavera rappresenta un momento cruciale: è il momento in cui possono “svegliarsi” dal letargo invernale e far spuntare fiori e foglie in condizioni ideali, con temperature moderate e con abbondanza di acqua. «In inverno, per le piante non sarebbe vantaggioso produrre foglie e fiori a causa delle temperature gelide – spiega Morandini – La primavera segna la fine di questo periodo, permettendo loro di regolare il proprio ciclo biologico e avviare la fioritura».

Ma non sono solo le piante a essere influenzate dal cambiamento. Anche per noi umani un clima sempre caldo avrebbe delle conseguenze significative: per esempio, dovremmo consumare più energia per rinfrescare le case durante i mesi che ora sono miti, e potrebbero aumentare i comportamenti aggressivi legati al caldo estremo.

Una primavera “fuori sincrono”

Che cosa succederebbe allora alle piante e agli animali che dipendono dalla primavera per la loro sopravvivenza? «Molte piante seguirebbero i segnali della temperatura, fiorendo quando fa abbastanza caldo - aggiunge Caccianiga - Alcune specie, però, sono influenzate anche dal fotoperiodo, la durata del giorno. Attenderanno allora che le giornate si allunghino per essere sicure di non essere colte da gelate tardive».

Conseguentemente, il cambiamento climatico potrebbe favorire alcune piante a discapito di altre: più nello specifico, le specie legate alle alternanze stagionali, come l’anemone dei boschi, potrebbero trovarsi in serie difficoltà senza un periodo di freddo seguito dalla combinazione di temperatura e fotoperiodo che caratterizzano l’inizio della primavera.

Impatti sull’ecosistema

Un altro aspetto da non sottovalutare è l’impatto che l’assenza della primavera avrebbe sulle coltivazioni: «Dovremmo adattarci alle nuove condizioni: potremmo optare per colture come il sorgo o il mais, originarie di zone tropicali, e selezionare varietà di frumento più adatte al clima caldo», aggiunge Morandini.

La scomparsa della primavera così come la conosciamo, però, avrebbe impatti su tutto l’ecosistema: per esempio, gli insetti, che emergono dalle larve e dalle uova sopravvissute all’inverno, troverebbero uno scenario diverso. «I bruchi comincerebbero a mangiare le foglie appena spuntate, mentre gli uccelli migratori farebbero ritorno, e molti mammiferi erbivori si nutrirebbero dell’erba fresca che la primavera offre», spiega Emiliano Mori, ricercatore del Cnr-Iret, Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri.

E conclude spiegando che se la stagione dovesse realmente subire un cambiamento così importante, le interconnessioni tra le specie potrebbero andare in crisi: «Alcuni anfibi, come le rane e i tritoni, dipendono dalle pozze d’acqua temporanee che si formano in primavera per deporre le uova». Ma senza queste pozze, queste specie rischierebbero di scomparire.

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