Diritti

Politica: se le donne vanno a sinistra e gli uomini a destra

Sta diventando una tendenza consolidata in molti Paesi ricchi: le giovani tendono a votare per i partiti progressisti e la loro controparte maschile per i conservatori. Ma perché questa polarizzazione?
Credit: cottonbro studio
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
19 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

Lo ha scritto il Financial Times a gennaio, lo ha confermato The Economist qualche giorno fa. Negli Stati Uniti, le ricerche di Gallup mostrano che, dopo decenni in cui la distribuzione era più o meno equa tra generi rispetto a una visione del mondo liberale o conservatrice, da 6 anni a questa parte qualcosa sta cambiando: le donne più giovani, di età compresa tra i 18 e i 30 anni, sono per il 30% più progressiste rispetto ai loro coetanei maschi.

Anzi, i dati rilanciano: il 72% delle giovani donne americane che hanno votato alle elezioni della Camera nel 2022 hanno sostenuto il candidato democratico, contro circa il 54% dei coetanei maschi. Nel 2008, non c’era quasi alcun divario di genere nell’orientamento di voto.

The Economist, dal canto suo, ha fatto un’analisi approfondita sui dati raccolti in 20 Paesi ricchi, confermando questa tendenza del tutto nuova. Certo, c’è da dire che pare valere per moltissimi Stati, ma non per il nostro: nel ultime elezioni politiche, il 27% delle donne che sono andate a votare, hanno espresso la propria preferenza per il partito di Giorgia Meloni. Sì, c’è anche un 21% che ha scelto il Partito Democratico, ma a preoccupare, nel nostro caso, è più che altro il blocco delle astensioniste, che è popolato dal 41% dell’elettorato femminile.

Tornando invece al contesto internazionale, possiamo affermare che negli ultimi anni, nelle generazioni più giovani, sta accadendo qualcosa a cui non si riesce a dare ancora un contorno definito. Ma possiamo tentare di inserirlo in una cornice fatta, prima di tutto, di istruzione. Nei Paesi ricchi, il 18% delle ragazze non riesce a raggiungere la soglia minima dei test Pisa (Programma per la valutazione internazionale dell’allievo). Per i ragazzi, questa percentuale tocca il 28%. Ad arrivare al conseguimento della laurea è il 46% delle donne europee, a fronte del 35% degli uomini. Negli Stati Uniti, la differenza tra donne e uomini laureati si attesta intorno ai 10 punti percentuali (sempre a vantaggio delle donne).

Perché questi dati possono esserci utili a leggere il fenomeno della polarizzazione politica delle donne e degli uomini? Perché le ricerche dimostrano che le persone che si formano di più, quelle che a esempio conseguono una laurea, tendono ad avere un orientamento più progressista rispetto a quelle meno istruite. E così, mentre le donne studiano di più e si avvicinano di più ai temi dei diritti, alle istanze del femminismo e in generale a una prospettiva sul mondo più aperta, molti uomini (quelli meno colti, ci dicono i dati) hanno paura, faticano a stare al passo, sognano un’età d’oro che non c’è mai stata.

Certo, c’è poi il tema dei social network, che rafforzano, premiandola con visualizzazioni e like, la polarizzazione. Senza contare che gli algoritmi ci mostrano quello che vogliamo vedere: se il mondo fosse come il mio Instagram, a esempio, saremmo tutti femministi, in gran parte scrittori, sicuramente attivisti. Ma invece, a un maschio bianco arrabbiato (la categoria delle white angry ladies, se ricordi, ha iniziato ad andare di moda proprio con Marine Le Pen) mostra contenuti che rafforzano le teorie del complotto, che alimentano la paura delle femministe e che pompano i canoni della mascolinità tossica (alla “make America virile again”). Alcuni partiti di destra e anche alcune specifiche personalità politica sembrano aver compreso che c’è del terreno fertile e non si vergognano a concimarlo.

Posso esprimere un desiderio? Come sarebbe bello se anche alcuni partiti di sinistra facessero lo stesso con le donne progressiste…

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