Diritti

Sanità: ai vertici le donne sono ancora poche

Nonostante la situazione sia in lento miglioramento, secondo un osservatorio di Luiss Business School e dell’associazione Donne leader in sanità, l’equità di genere è ancora ben lontana dall’essere raggiunta
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Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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6 aprile 2024 Aggiornato alle 20:00

Come siamo messi dal punto di vista dell’equità tra uomini e donne ai vertici del settore sanitario? A rispondere in modo approfondito a questa domanda ci hanno pensato la Luiss Business School e l’associazione Donne leader in sanità, attraverso il rapporto annuale dell’Osservatorio sull’equità di genere della leadership in sanità. Ma se si volesse fare una sintesi preliminare basterebbe una parola: male.

Purtroppo questo non stupisce più di tanto considerando che la sotto rappresentanza femminile in ogni ambito lavorativo è tristemente la norma, ma benché non si tratti di una notizia inaspettata, non deve lasciare indifferenti.

Giunto alla seconda edizione, l’osservatorio ha fotografato la situazione a tutto il 2021 e l’evoluzione del fenomeno nel settore sanitario italiano, pubblico e privato, comprendendo anche le aziende farmaceutiche e quelle dei dispositivi medici.

Per farlo ha elaborato il Gender leader index in health (Glih), che misura il rapporto tra la distribuzione di genere nelle posizioni apicali e la distribuzione di genere sull’occupazione totale in ambito sanitario. L’indicatore si muove in un intervallo fra 0 (nessuna rappresentanza di uno dei due generi) e 1 (totale rappresentanza di un solo genere). Se è inferiore a 0,5 significa che le donne sono sottorappresentate nella leadership rispetto agli uomini. Se, invece, è superiore a 0,5 che sono sovra-rappresentate.

Il Glih dunque va oltre la mera ricognizione di quante sono le donne leader nel settore rispetto ai colleghi uomini. Se, infatti, ci fosse il 50% di leader donna e il 50% di leader uomo, non sarebbe comunque raggiunta un’equità nella rappresentanza se gli occupati fossero in prevalenza donne (o una sproporzione di occupati uomini).

Con il passare del tempo la situazione per le donne sembra essere migliorata, seppur lievemente, visto che nel settore pubblico il valore dell’indice Glih è passato da 0,19 nel 2020 a 0,20 nel 2021. Tuttavia da gioire c’è ben poco perché questa flessione positiva quasi impercettibile non migliora lo scenario nel suo complesso e le donne in posizioni di leadership rimangono sottorappresentate.

Per dirlo in modo ancora più chiaro, un giovane o una giovane che entra, oggi, nel settore pubblico incontra 7 dirigenti uomini ogni 100 impiegati e meno di 2 donne e se il trend di miglioramento manterrà questo ritmo si arriverà all’equi-rappresentanza solo tra 150 anni.

Dati che confermano ancora una volta l’esistenza del famoso glass ceiling, ovvero del soffitto di cristallo che esprimendosi attraverso varie dinamiche impedisce alle donne di raggiungere posizioni di vertice, anche quando la loro presenza in di un settore lavorativo è cospicua, come in quello sanitario.

A livello globale, infatti, secondo un report del Women in Global Health, le donne rappresentano il 90% degli operatori sanitari in prima linea e il 70% della forza lavoro sanitaria globale complessiva

All’interno della sanità pubblica italiana le donne occupate con vari ruoli sono notevolmente aumentate negli ultimi anni, passando dal 59% del 2001 al 69% del 2021.

Inoltre, secondo la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri, al 16 gennaio 2024 tra i 325.114 medici con meno di 70 anni iscritti agli albi, e quindi quasi sicuramente in attività, le donne sono 171.645, il 53% del totale, rispetto al 52% dello scorso anni.

A ciò non corrisponde però una parità salariale visto che tutti gli indicatori degli ultimi anni parlano di un gap tra uomini e donne occupati nella sanità a pari mansioni di almeno il 25%.

E men che meno, come testimonia l’osservatorio, a una maggiore rappresentanza femminile nei ruoli apicali.

Nel 2020 negli ospedali era donna il 25% dei direttori di struttura semplice e solo il 19% di quella complessa.

La situazione migliora leggermente se si sposta lo sguardo al comparto farmaceutico. Lì nel 2011 il 41,8% degli occupati erano donne, nel 2021 il 43,9% e includendo sia quadri che dirigenti l’indice Glih è salito da 0,50 nel 2020 a 0,51 nel 2021, mostrando una leggera predominanza di leader donne. La maggior parte siede però nei quadri, mentre a livello dirigenziale la sotto rappresentanza è ancora la costante, anche se il Glih, pari a 0,41 nel 2021, sta convergendo rapidamente negli anni verso l’equa rappresentanza e potrebbe raggiungerla nei prossimi 5.

Leadership per lo più maschile anche nelle aziende dei dispositivi medici, dove nel 2021, aveva ruoli dirigenziali il 18% degli uomini contro l’8% delle donne. Anche in questo caso qualcosa, seppur pianissimo, sembra però muoversi, con un indice Glih passato a 0,30, rispetto allo 0,29 nel 2020.

«Le donne ai vertici della sanità continuano a essere fortemente sottodimensionate, soprattutto nel pubblico, benché il trend di distribuzione delle posizioni apicali negli ultimi anni riveli un lento e costante recupero del genere femminile» ha commentato Marina D’Artibale, condirettrice dell’Osservatorio e socia fondatrice dell’associazione Donne leader in sanità, sottolineando la necessità immediata di accelerare il processo verso un’equa rappresentazione. Un’urgenza condivisa anche dalla condirettrice e Head of MBA programs Luiss Business School, Maria Isabella Leone, che sottolinea come «con il nostro Osservatorio teniamo alta l’attenzione sulla lenta progressione verso l’equi rappresentanza nella leadership in ambito sanità».

Una lente che deve essere sempre a fuoco.

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